5 cose assurde che qualcuno ha provato a registrare come marchio

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(foto: Robert Anasch/Unsplash)

La tutela della proprietà intellettuale è uno degli ambiti più divisivi e dibattuti tra quelli con cui veniamo direttamente a contatto ogni giorno, tanto da essere diventata nel tempo il nucleo di una battaglia politica ben più vasta, finalizzata a garantire la libera circolazione della cultura. La storia stessa dell’informatica – e in seguito di internet – potrebbe essere riassunta come la tensione costante tra l’istinto di privatizzare la conoscenza e la lotta per liberarla dalle leggi che ne regolano i diritti di sfruttamento economico.

Le barricate ideologiche crollano inesorabilmente se invece guardiamo alla proprietà industriale, una branca non particolarmente definita nel diritto anglosassone, ma che in Europa e in Italia ha assunto un rilievo via via maggiore, finendo per inserirsi di prepotenza nel nostro dibattito pubblico. Stiamo parlando di loghi, marchi e di tutti quei segni distintivi con cui un’azienda decide di presentarsi sul mercato, molto spesso contrassegnati da una lettera R racchiusa in un cerchio. Un settore decisamente molto serio, ma che nel corso del tempo ha prodotto dei veri e propri mostri.

Abbiamo raccolto per voi alcune delle cose più assurde che la gente ha provato a registrare all’ufficio italiano brevetti e marchi del Mise, – qualche volta riuscendoci, ma nella maggior parte dei casi fallendo miseramente.

Il business delle tragedie

Uno dei settori più prolifici in tema di marchi registrati è sicuramente quello relativo a fatti di cronaca, calamità naturali e in generale qualsiasi cosa possa essere stata amplificata dalle telecamere di un tg nazionale.

In modo non dissimile da quanto accaduto a New York in occasione degli attentati dell’11 settembre, il database di Uibm contiene il logo registrato del campanile di Amatrice, raffigurante l’orologio fermo alle 3.38 del 24 agosto 2016 – ora e data del terremoto che ha devastato il centro Italia – che gli estensori della domanda hanno esplicitamente chiesto di poter utilizzare per la vendita, tra le altre cose, anche di bevande alcoliche. Il premio per la prontezza dei riflessi va comunque al giapponese Masahiko Nakamura, che venti giorni dopo la tragedia cercò di registrare in patria la parola Amatrice, senza esito.

Sorte simile toccò nel 2015 all’italiano Andrea Ramazzotti e al suo logo di Mafia Capitale (con tanto di cupola sullo sfondo), che non potè realizzare il sogno di trasformare l’operazione coordinata dal pm Giuseppe Pignatone in un brand di moda e in un videogame. L’ultimo tentativo in ordine di tempo è però quello di una casa editrice ligure, che nello scorso mese di marzo ha depositato la richiesta di poter utilizzare la silhouette del vecchio ponte Morandi sorretto dalla scritta Ama Genova, per la produzione di materiale editoriale.

Il real-time marketing

Non si discosta troppo dalla categoria precedente, ma ha il merito di non sembrare un’idea partorita dal signor Burns. È in questo settore che si scatenano le intuizioni creative di imprenditori più o meno rampanti, come il creatore italiano della linea di asciugamani Trump Towel o le tre persone che praticamente in contemporanea hanno cercato di registrare la parola petaloso, il giorno dopo l’esplosione del caso.

Il real-time marketing richiede tempismo e senso del tormentone, doti incarnate alla perfezione dai proprietari americani del marchio Ligma – registrato sull’onda del successo del popolare meme che si conclude con la risposta “Ligma balls” – e che commercializzerà, nemmeno a dirlo, palle sportive. Vedremo se andrà altrettanto bene all’ex calciatore del Lecce Ernesto Chevanton, che pochi mesi fa ha depositato un logo contenente la sua caricatura e il coro “din don din don, intervengo qui da Lecce ha segnato Chevanton”, dedicatogli ormai qualche anno fa – nel 2011 – dalla tifoseria genoana per irridere i cugini della Sampdoria, sconfitti nel derby e costretti alla retrocessione in Serie B proprio grazie a un gol di Chevanton per la squadra pugliese.

Dio

Quello di avanzare pretese sulla proprietà intellettuale della divinità cristiana è un vecchio espediente della satira, che da sempre cerca di mettere in luce le contraddizioni della religione decostruendo il concetto stesso di Dio.

Non è un caso che a depositare la richiesta di proprietà della parola nel 2003 fu proprio Beppe Grillo, il comico genovese che di lì a poco avrebbe intrapreso il percorso di fondazione del Movimento 5 stelle. Non è del tutto chiaro come Grillo avrebbe utilizzato il marchio (nel modulo sono evidenziati gli ambiti di “servizi medici” e “soddisfacimento di bisogni personali”) ma naturalmente la pretesa fu bocciata dall’ufficio del Mise.

Negli Stati Uniti, al contrario, la parola God è stata registrata dalla Morell International, che ne ha fatto un’app per la lettura della Bibbia.

Partiti politici

Non c’è nulla di strano nel reclamare la proprietà industriale di un partito e anzi, la registrazione di nome e logo dell’organizzazione è parte ineludibile del processo di fondazione di un nuovo soggetto. La particolarità, in questo caso, ha semmai a che fare con nomi e intenti di alcuni partiti politici mai nati.

Il più attivo nel marketing politico è come da 25 anni a questa parte Silvio Berlusconi, possessore della denominazione “Il centro destra italiano”, “Centro destra italiano” e “Centrodestra per la Libertà” e ”Centrodestra Unito”, ma anche di un decisamente meno calzante “Rivoluzione Italia”. Tra le altre cose, il nome Silvio Berlusconi è a sua volta un marchio registrato, utilizzabile commercialmente dal fondatore di Forza Italia per qualsiasi tipo di servizio.

Nel database troviamo traccia di un tentativo di registrare Fascismo e Libertà (partito politico attualmente esistente e che, a dispetto del riferimento diretto all’esperienza del Ventennio, è riuscito a eleggere tre esponenti nel comune di Mura) e il logo dei Cristiani democratici italiani, traduzione diretta del partito di Angela Merkel, portato in Italia nientemeno che da Antonio Razzi.

Un’ultima citazione va riservata ancora una volta a Beppe Grillo, che nel 2012 pensò bene di registrare i Pirati a 5 Stelle, simbolo ombrello che avrebbe dovuto accogliere i dissidenti del Movimento 5 stelle (e che chissà perché scelsero di non aderire all’iniziativa).

Le pagine di meme

Sono molteplici, infine, le pagine italiane di meme che hanno deciso di fare il grande salto nel mondo degli affari. La più celebre è certamente Sii come Bill, il cui autore è tornato in questi giorni al centro di diverse polemiche con l’accusa di aver registrato un format nato su Reddit, ma nell’universo di Facebook Italia sono già da tempo in corso le esperienze di Chiamarsi Bomber, il Superuovo, La Fabbrica del Degrado e Calciatori Brutti. Pagine non sempre premiate dalla critica, ma imbattibili in tema di collaborazioni con aziende e merchandising.

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