A una settimana dall’esplosione, cortei a Beirut “per una nuova Nazione”
- Alessandra Fabbretti
- 11/08/2020
- Mondo
- a.fabbretti@agenziadire.com
Samer Makarem: "Vecchia politica deve lasciare spazio al nuovo" Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print
ROMA – “Le dimissioni del premier Diab e del suo governo sono una cosa positiva: eravamo contrari sin dalla sua nomina, a gennaio scorso, perché a dargli l’incarico sono state quelle stesse forze politiche che ci hanno portato a questa crisi. Avevamo comunque deciso di dargli tempo, ma si è dimostrato incapace di resistere al sistema di regime che lo ha messo su quella poltrona. Per questo oggi pomeriggio torneremo a manifestare: chiediamo ‘Bidayat al-watan’, cioè un nuovo inizio per la nazione, come recita il nostro slogan”. Samer Makarem è uno degli organizzatori dei cortei che stanno avendo luogo a Beirut negli ultimi giorni. Il movimento di protesta ha ripreso vigore in seguito all’esplosione al porto della capitale il 4 agosto scorso, un incidente che le autorità hanno attribuito a un magazzino incustodito, dove da anni erano stipate tonnellate di nitrato di ammonio. L’agenzia Dire ha intervistato Makarem a una settimana esatta da quell’esplosione, in cui sono rimaste uccise 150 persone, mentre i feriti avrebbero superato quota 6.000. Ieri, sull’onda delle proteste popolari, il premier Hassan Diab si è dimesso, sensa tuttavia annunciare nuove elezioni. “Era prevedibile- commenta l’attivista- per questo oggi torniamo a manifestare nei pressi del porto. Vogliamo la totale uscita di scena di questa classe politica”. Il rischio secondo l’attivista, è il meccanismo della porta girevole: “i vecchi nomi escono da un lato per rientrare dall’altro, gettando la responsabilità dei problemi sugli altri. Noi vogliamo volti nuovi”.
Nei sette giorni che sono seguiti all’incidente, “le istituzioni non hanno fatto nulla- continua Samer Makarem- non hanno individuato i responsabili. L’arresto del direttore del porto era un atto dovuto”. Ma il giovane, come molti altri, pensa che l’incapacità di vigilare e garantire la sicurezza delle infrastrutture pubbliche sia da attribuirsi “più in alto”: “purtroppo però, in Libano il regime è abituato a denunciare gli altri senza mai assumersi le proprie colpe”. L’unico atto concreto portato a termine dalle istituzioni, secondo Makarem, “è stato attaccare i manifestanti a quattro giorni dall’esplosione con gas lacrimogeni, pallottole di gomma e anche reali”. La marcia di questo pomeriggio servirà a chiedere anche riforme economiche nonché aiuti per rispondere agli effetti di una crisi che da mesi ha spinto nell’indigenza migliaia di famiglie, a cui ora – con la distruzione del porto e di diverse zone di Beirut – si aggiungono sfollati e tanti posti di lavoro andati in fumo. “Con l’esplosione- avverte Makarem- sono andati persi gli uffici di intere aziende, insieme a ristoranti, pub e locali. I quartieri colpiti accoglievano anche la scena artistica e culturale di Beirut nonché tante startup di giovani. L’esplosione ha spazzato via anche queste esperienze”.
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