Ansia, stress e panico per la scuola: cosa succede ai ragazzi
“La scuola è per tutti” mi ha sempre ripetuto mio padre quando ero ragazzina e frequentavo il liceo classico, portando a casa non sempre voti altissimi… Quante volte ci è capitato di sentire notizie di ragazzini che soffrono di ansia, stress e panico per la scuola? Non sempre poi finiscono bene queste notizie, specialmente nel momento in cui arrivano a telegiornali con racconti di bullismo, challenge pericolose scoperte in rete o, peggio ancora, di suicidi per un brutto voto o per non essere riusciti a stare al passo con gli esami all’università.
Oggi mi ritrovo a leggere un articolo del Corriere della Sera dal titolo Liceo Berchet di Milano, gli studenti sotto stress: «Non siamo i voti che prendiamo. Ci rendano persone pensanti» e ripenso alle parole di mio padre di tanti anni fa.
Spesso chi soffre appunto di ansia, stress e panico per la scuola (probabilmente neanche in questo ordine, o non tutte insieme), ci sembra solo un ragazzo o una ragazza un po’ più timido e chiuso rispetto ai compagni. Mai andremmo a pensare che i ragazzi possano vivere una determinata pressione sociale, scolastica e psicologica, come invece accade.
Perché non ce ne rendiamo conto?
È di alcune settimane fa anche lo sfogo di una mamma che ha pubblicato in rete un video, dove riprende il figlio mentre fatica a finire i compiti assegnati dalla maestra. La mamma in questione si lamentava della mole (a suo dire) eccessiva di compiti, che non permettono al figlio e alla famiglia di organizzare il tempo extra scolastico in attività sportive, ludiche o altro.
Troppi compiti. Troppa pressione. Troppe aspettative. Troppo giudizio.
Questo è il quadro che mi sembra stia emergendo oggi. Non so dire quanto essere consapevole o meno di ciò che sta accadendo. I miei figli sono ancora piccoli e frequentano nido e materna. Conosco però adolescenti che mi hanno riportato questa pressione sul rendimento scolastico. La domanda che mi viene da porre è: ma non è sempre stato così?
Ansia di andare a scuola
Ansia, stress e panico per la scuola, a mio avviso, sono sempre esistiti. Il problema è che ora sono forse la maggioranza dei ragazzi a provare questi stati d’animo.
Quante volte vi sarà capitato di fingere un mal di pancia pur di non andare a scuola perché non eravate pronti per una verifica o perché avevate un problema con un compagno di classe?
Oppure avevate studiato così tanto e poi il voto che avete preso non era quello vi aspettavate?
Forse oggi c’è molta più attenzione rispetto al passato. I ragazzi si sentono più giudicati, rispetto a quando a scuola ci andavamo noi.
Non voglio cercare un colpevole in questa situazione: la scuola, lo studente, la famiglia, la società… Non saprei neanche trovarlo.
Forse siamo tutti un po’ “colpevoli” di questo meccanismo che si è andato ad innescare nel tempo.
La famiglia forse troppo presente a volte nello svolgimento dei compiti e nell’attenzione che può essere fraintesa in oppressione sulle performance.
La scuola che, diciamoci la verità, nella maggior parte dei casi, non ha modificato il suo modello d’azione seguendo un po’ gli anni che passano…
Insegnanti che (non tutti, ovviamente!) forse hanno un po’ perso il senso di trasmettere ai ragazzi la passione e la curiosità per le materie e il loro significato.
I ragazzi che oggi non sanno che strada prendere.
Lo Stato che mai una volta ho sentito dire in qualsiasi campagna elettorale: “Punteremo sulla scuola con una riforma rivoluzionaria per il futuro del Paese”, sempre belle parole, ma poi nulla di fatto… ai nostri ragazzi i banchi con le rotelle finiti al macero, per dirne una!
Come superare la paura della scuola
L’ansia della scuola, della performance, dell’interazione con i compagni, io credo che nasca da tutti questi meccanismi (e sicuramente ce ne saranno molti altri!) che non comunicano tra loro.
Si danno per ovvie e scontate realtà che invece non lo sono.
La prima cosa da fare è parlare. Parlare con i nostri figli, aprire un dialogo e permettere loro di raccontare e raccontarsi con noi, senza pregiudizi, senza accuse, senza sminuirli.
Confrontarsi con la scuola. Qui il tasto dolente. Spesso ai colloqui con insegnanti si vive in una sorta di zona grigia. Qui si innesca qualcosa di strano per cui bisogna “stare attenti” a ciò che si dice durante questi incontri. A me è capitato di sentire genitori affermare “Quel prof ha preso di mira mio figlio! Lui studia, ma non ottiene mai il voto sperato” e, dall’altra parte, l’insegnante che invece nega e ribatte con “è il ragazzo che non si applica abbastanza, io faccio il mio lavoro”.
Ma cosa vuol dire “faccio il mio lavoro”? Qui penso che, bene o male, anzi, male direi… facciamo tutti la nostra pessima figura. Dietro un brutto voto ci possono essere tante motivazioni che non si devono semplificare in un banale “non si applica abbastanza”. Un brutto voto può arrivare perché non hai studiato, giusto. Perché non hai capito. E allora dovrebbe essere compito dell’insegnante rispiegare e farti capire. Quindi il brutto voto, in realtà, chi lo prende davvero? Perché se insegnassi una materia, e un mio studente, che so essere volenteroso, prende un brutto voto, io non me ne fregherei. Cercherei di capirlo quel voto, di capirne le ragioni e proverei a migliorare il mio metodo per appassionare i ragazzi a ciò che insegno.
È un discorso ampio e complesso, che non si può sicuramente esaurire in un articolo su un blog. Spero però che possa essere interpretato e preso come spunto di conversazione e dialogo sincero tra la famiglia e la scuola.
Sono dell’idea che nelle scuole manchi un momento di reale confronto.