Banca popolare di Bari, sequestro da 16 milioni di euro a tre ex dirigenti

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Gli accertamenti riguardano le cosiddette 'operazioni baciate', finanziamenti "offerti a tassi di interesse più vantaggiosi", purchè il cliente acquisti azioni della banca stessa Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

BARI – La guardia di finanza ha eseguito un decreto di sequestro di beni per un valore di poco più di 16 milioni di euro nei confronti di vertici di Banca popolare di Bari. Il provvedimento riguarda in particolare Gianluca Jacobini, già condirettore generale, Nicola Loperfido, già responsabile direzione business e Giuseppe Marella, ex responsabile internal auditing: tutti sono indagati per ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. Jacobini è accusato anche di false comunicazioni sociali. Gli accertamenti svolti dai finanzieri coordinati dal magistrato della procura di Bari, Roberto Rossi, riguardano le cosiddette ‘operazioni baciate’ ovvero finanziamenti molte volte “offerti a tassi di interesse più vantaggiosi, erogati da una banca a un cliente a patto che lo stesso acquisti azioni della banca stessa”, spiegano gli investigatori che specificano come “la concessione di un finanziamento da parte di una banca in correlazione all’acquisto di sue azioni sovrastimerebbe il capitale, dando ai terzi una visione di solidità che non corrisponde a quella reale”. Sono state anche rilevate gravi “irregolarità” messe in atto dai tre dirigenti dell’Istituto di credito “finalizzate a rappresentare una situazione economico-finanziaria e patrimoniale non veritiera, in occasione dell’ispezione della Banca d’Italia, avviata nel giugno 2016 e conclusa nel novembre successivo, in vista della trasformazione della natura giuridica dell’istituto da società cooperativa a responsabilità limitata in società per azioni”. Per la procura di Bari i dirigenti hanno “dolosamente posto in essere comportamenti ostruzionistici, occultando agli ispettori di Bankitalia alcuni fascicoli di clienti alterando alcune informazioni per evitare che emergessero posizioni tali da determinare per la banca l’obbligo di apportare rettifiche ai cosiddetti fondi propri”.

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