Barbareschi “Volevo fare la rockstar, il teatro mi ha salvato”
Tempo di Lettura: 3 minutiGIFFONI (ITALPRESS) – “Da piccolo volevo fare la rockstar. Suonavo la chitarra e il pianoforte, sono cresciuto con i Genesis, i Beatles, i Rolling Stone, la musica progressive e gli Yes. In quegli anni la musica raccontava per immagini e io ne ero affascinato. Solo dopo ho scoperto le immagini del cinema”. Due film a […]
GIFFONI (ITALPRESS) – “Da piccolo volevo fare la rockstar. Suonavo la chitarra e il pianoforte, sono cresciuto con i Genesis, i Beatles, i Rolling Stone, la musica progressive e gli Yes. In quegli anni la musica raccontava per immagini e io ne ero affascinato. Solo dopo ho scoperto le immagini del cinema”. Due film a Venezia nella sezione Fuori Concorso, “The Penitent” (tratto dall’omonima pièce del drammaturgo Premio Pulitzer David Mamet e girato negli Stati Uniti) e “The Palace” (il nuovo film di Roman Polanski, coprodotto con Svizzera, Polonia e Francia), ma anche una produzione Mediaset, una Sky, il ritorno in Rai, un film per la tv “Le luci della Masseria”, la seconda stagione di “Black out”, la nuova serie “La lunga notte”, e il sogno di riaprire il Teatro Eliseo, Luca Barbareschi al Giffoni Film Festival racconta la sua esperienza di attore, regista e produttore e come è arrivato nel mondo del cinema. “Ero un ragazzino abbandonato. Quando avevo otto anni, mia madre è scappata di casa e la mia tata mi portava al cinema per amoreggiare con il suo fidanzato. Lì ho iniziato ad amare il grande schermo, mi rifugiavo in quelle immagini. Spesso non erano neanche film adatti a dei bambini, io guardavo e non capivo tutto, ma ne restavo affascinato. Ho visto Arancia Meccanica a 11 anni”. Un’infanzia non felice ma il riscatto Barbareschi lo ha trovato nel teatro “Da piccolo ho subìto molte violenze, mi ha salvato il teatro perchè dà una restituzione affettiva molto grande. Se hai solitudini interiori il teatro è un luogo di salute mentale”.
“Sono stato salvato da Valentina Fortunato della Compagnia Italia – ha raccontato a Giffoni – Sono nato in Uruguay l’ho incontrata su una nave mentre tornavo in Italia, e ho capito che volevo fare questo lavoro”. Gli esordi però non sono stati semplici “All’inizio sapevo solo che volevo far parte di quel circo, dove c’era spazio per tutti, belli, brutti, alti, bassi, magri, grassi. Ma non avevo idea del mio ruolo. Ho iniziato con l’Enrico V, poi ho recitato a Chicago e al Metropolitan di New York, solo dopo ho iniziato a fare il produttore”. In mezzo tanto altro, tra cui “il portaborse di Gianni Minà, una grandissima esperienza per me. Insieme abbiamo fatto “La strada della box” e grazie a quel programma ho potuto incontrare tantissima gente, ma l’intervista che ha cambiato la mia vita è stata quella con Spielberg, con cui siamo rimasti amici. Io avevo 20 anni, lui 30. Ero andato a casa sua per l’intervista e lui giocava a scacchi da solo con un computer regalato da George Lucas, stava girando “Incontri ravvicinati di terzo tipo”. Gli chiesi “Come posso diventare come te?”, mi rispose “Tu sei come me. Dentro hai già questo fuoco, prendi una storia e falla tua”. E così feci. Tornai a NY e girai “Summertime”, che vinse tutto, Venezia e Cannes”.
Il consiglio di Barbareschi per i ragazzi è di essere curiosi e mai snob “Io ho sempre lavorato, non ho mai snobbato nulla di quello che mi hanno proposto. Ho grato 1.200 puntate di “C’eravamo tanto amati”. Se salgo su un palco mi dovete abbattere tanta improvvisazione posso fare”. Tra i prossimi impegni i due film a Venezia, e un aneddoto su “The Palace”. “L’ultimo giorno di riprese mi sono sentito male, pensavo davvero di morire, avevo uno stress indescrivibile, il film aveva superato di molto il budget previsto. Io, produttore e attore, ero sotto pressione, mi sembrava che mi stesse per venire un infarto. Mi addormentai e poco dopo Roman Polanski mi svegliò per girare l’ultima scena in cui si vedeva solo uno scarpone. Avrebbe potuto girarla chiunque e glielo dissi, stavo male, ma la sua risposta fu “Non sfidare Dio, Dio è nei dettagli”. Mi alzai per girare quell’ultimo ciak”.
Tanta internazionalità nella sua carriera ma anche la coscienza che “Roma è l’unico polo produttivo del cinema. Solo lì ci sono i tecnici che sono artigiani straordinari, c’è una tradizione del cinema che manca in altre città che sono solo ‘polli produttivì”.Tanti i maestri e gli insegnamenti ricevuti in quasi 50 anni di carriera, ma “ho imparato davvero da tutti quelli che hanno perso perchè a picchiare sono bravi tutti, ma a rialzarsi solo i vincitori. Fallire è fondamentale, solo sbagliando si impara”. E sulle critiche “Il politicamente corretto sta devastando il mondo del cinema. Non ci può essere un giudizio morale sull’arte”. Barbareschi infine ha discusso anche sulla differenza tra il mercato cinematografico italiano e quello a stelle e strisce e ha detto: “L’America è più vecchia dell’Italia. E’ uno stato molto colto, adesso in crisi per tante ragioni, ma ancora straordinario e patria di tante evoluzioni. L’Italia invece è un paese complesso, che racchiude all’interno del suo popolo tante differenze”. Prima di salutare il pubblico di Giffoni ha aggiunto: “Ho più energia oggi di quando avevo vent’anni, perchè ho imparato a non cercare più l’applauso, bensì l’emozione. Ed è il teatro a darmi tanta emozione. E’ un luogo in cui capitano cose misteriose e meravigliose, dove si celebra la bellezza”.
-foto ufficio stampa Giffoni –
(ITALPRESS).