Colombia, Mario Paciolla è morto in un paese senza pace

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mario paciolla

Monica Puto, coordinatrice del corpo civile nonviolento di pace a San Jose' de Aparatado', in Colombia, commenta la scomparsa di Mario Paciolla, napoletano, collaboratore delle Nazioni Unite di 33 anni trovato morto la settimana scorsa in circostanze non chiare Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

ROMA – “Mario lavorava in una zona calda della Colombia. Come molti altri operatori umanitari, il suo lavoro era legato a tutti quegli aspetti che puntano a implementare l’Accordo di pace siglato con le Farc a fine 2016 e quindi si svolgeva tra molte difficolta’”. Monica Puto e’ coordinatrice del corpo civile nonviolento di pace a San Jose’ de Aparatado’, in Colombia, per Operazione Colomba, un progetto della Comunita’ Papa Giovanni XXIII. Per l’agenzia Dire commenta la scomparsa di Mario Paciolla, napoletano, collaboratore delle Nazioni Unite di 33 anni trovato morto la settimana scorsa in circostanze non chiare, al punto che la Farnesina e l’ambasciatore italiano Gherardo Amaduzzi hanno richiesto l’intervento dello Scip, il Servizio di cooperazione internazionale della polizia.

Mario operava a San Vicente del Caguan, in un’altra regione rispetto a dove siamo noi – continua Puto – ma in Colombia dinamiche e problemi hanno tratti di fondo comuni, che ritornano”.

Secondo la coordinatrice, i dati di molte agenzie che lavorano per la difesa dei diritti umani, confermano che dopo l’Accordo di pace i gruppi paramilitari hanno occupato anche i territori storicamente controllati dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e di certo non hanno lasciato le armi.

Di recente poi i dissidenti delle Farc hanno ricostituito il gruppo armato e a questo si aggiungono i guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) e altri gruppi armati illegali legati al narcotraffico.

“Non e’ affatto facile lavorare cosi'” sottolinea la cooperante. Il corpo di Operazione Colomba e’ arrivato ben prima che l’Accordo di pace tra il governo e le Farc ponesse fine a 50 anni di guerriglia: il suo compito e’ garantire, con la sua presenza, la sicurezza delle popolazioni nelle zone piu’ remote del Paese.

Comunita’ di resistenza pacifica lasciate alla merce’ dei gruppi armati che detengono il controllo sui territori, spesso in contrasto con le necessita’ e le esigenze di altri tipi di riforme agrarie auspicate dalle popolazioni locali. E con le minacce e la violenza, si garantiscono anche i narcotraffici. Un commercio che sarebbe dovuto finire, riportando la Colombia sulla strada della stabilita’ e dello sviluppo: a questo sarebbero dovuti servire gli accordi di fine 2016, che sono valsi all’allora presidente Juan Manuel Santos il Nobel per la pace.

Ma come denunciano da tempo organizzazioni locali e internazionali, le armi non hanno mai taciuto e le popolazioni continuano a subire violenze. Per gli esponenti della societa’ civile i rischi sono ancora piu’ elevati: stando ai media locali, solo nel periodo della pandemia 22 leader sociali hanno perso la vita. Tanti anche i campesinos, i politici locali nonche’ gli ex guerriglieri che hanno cercato di tornare a una vita normale: oltre cento quelli assassinati.

Una situazione che ha spinto l’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica a parlare di “processo di pace fallito”, mentre i capi delle ex Farc hanno piu’ volte accusato il governo del presidente Ivan Duque di “ritardi nell’implementazione dell’Accordo”.

“La cocaina e’ e resta uno dei motori principali dell’economia illegale colombiana” denuncia Puto. “Negli Accordi era stata prevista una transizione programmata dalle coltivazioni di coca a quelle per produrre cibo, un processo che tocca da vicino le popolazioni contadine. Ma spesso l’esercito interviene e sradica di forza le piantagioni. Questo genera anche scontri coi contadini, non perche’ vogliano collaborare coi narcotrafficanti ma perche’ senza piani alternativi non hanno di che sfamare le famiglie”.

Tensioni, queste, che fanno temere rischi “anche per noi operatori umanitari” sottolinea Puto. Convinta che oltre alle autorita’ locali, anche l’Unione Europea possa giocare un ruolo determinante: “Ha sostenuto gli Accordi e dato milioni di euro a Bogota’ per la transizione agricola. Deve pero’ monitorare l’impiego di quei fondi o il rischio e’ che quel piano non venga realizzato“.

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