Come rispondere alle domande impossibili dei figli
Quando meno se lo aspetta, un genitore inizierà a dover rispondere a domande impossibili che i figli faranno. Spesso le domande sono piazzanti, difficili ed esistenziali. A quel punto, bisognerà mettersi alla ricerca delle parole corrette da utilizzare, adeguate all’età del bambino. Tutto questo con il solo scopo di fornirgli una risposta adeguata, che soddisfi la sua curiosità e che non gli crei confusione. Anzi. Il genitore deve colmare le lacune del proprio bambino liberandosi dapprima dei suoi eventuali pregiudizi. In questo modo, sarà il più oggettivo possibile, senza correre il rischio di condizionarlo negativamente.
Semplificare i concetti con esempi
A tal proposito, l’elemento essenziale che non deve mancare mai nei discorsi tar genitore e figlio piccolo è la semplicità, specie se vengono tirati in ballo temi difficili e delicati. Innanzitutto, è bene che un genitore risponda sempre, in qualsiasi caso, anche perché il bimbo difficilmente demorde. Allora, dovrà essere in grado di rispondere efficacemente alla domanda senza divagare e senza adottare un approccio superficiale, utilizzando un linguaggio consono ed evitando un tono allarmistico. Inoltre, quando il bambino porge una domanda, si rivela del tutto controproducente fingere o negare un dato di fatto. Bisogna utilizzare un tono di voce tranquillo, mettendo da parte allarmismi e confusioni vari, andando a rassicurare i bambini anche su concetti complessi ed estremamente delicati.
L’errore più grave è quello di ignorare ciò che gli viene richiesto, e anche i bimbi più piccoli sono esigenti e richiedono molta attenzione, visto che pretendono di ricevere risposte convincenti e non approssimative. Ascoltare le domande dei bambini ci rivela quanto sono straordinarie le loro menti, e spesso ci rivela anche l’inadeguatezza dei genitori stessi. Un po’ perché sono abituati a dare molte cose per scontate, un po’ perché alcune domande sono davvero difficili.
Sono estremamente consigliati dei testi da leggere con il proprio bambino per metterlo al corrente delle informazioni che vuole ottenere. Tra le altre cose, bisogna dare loro risposte brevi, semplici ma convincenti, sinceri, immediate, senza mai sottovalutare le sue domande con esclamazioni o battute. In realtà, con i piccoli al di sotto dei 4/5 bisognerebbe evitare le spiegazioni tecniche e razionali e cercare di interpretare la realtà dal loro punto di vista. A tal proposito, le spiegazioni più efficaci sono quelle fatte nella prospettiva del gioco o attraverso delle metafore.
Ecco qualche esempio di domanda difficile che tuo figlio potrebbe farti.
Come nascono i bambini? Cosa è meglio dire ai bambini
“Mamma dov’ero prima di nascere?”, oppure “Come nascono i bambini?”.
Ovviamente vanno evitate le storielle dei cavoli e delle cicogne, bugie o termini troppo scientifici. Quando i bambini sono molto piccoli, si possono utilizzare anche termini che rispettano quella magia che ancora vivono, mentre dai 7 anni in su è opportuno chiamare le cose con il loro nome. Il genitore deve capire e verificare quanto già il bambino ha appreso dall’argomento, magari parlando con un amichetto o ascoltando qualcosa in televisione. Deve avere l’umiltà di ammettere di non avere la preparazione necessaria per affrontare quel dato argomento, evitando di buttare giù risposte inventate. In questo modo, potreste confondergli maggiormente le idee. Se il bimbo è piccolo, magari la sua curiosità nasce dal fatto che a breve nascerà un fratellino.
Si può rispondere che i bambini stanno nel calduccio della pancia finché non diventano abbastanza grandi da poter uscire, che nascono dall’amore tra mamma e papà. Piano piano, quando il bimbo cresce, si dovrebbe cominciare a dare risposte più chiare e approfondite, come il fatto che si nasce grazie all’unione tra una cellula della mamma e la cellula del papà.
L’importante è non dare mai risposte vaghe e superficiali, non rimandare, non dire bugie e non mostrarsi mai imbarazzati. Insomma, a seconda dell’età del bambino, ci sono degli imprescindibili elementi da utilizzare per spiegare la nascita. Tra questi, troviamo l’affetto, la sincerità e un linguaggio semplice.
Cosa vuol dire “omosessuale”? Quando e come parlare a tuo figlio di omosessualità
Una delle domande più frequenti che si pongono i genitori è “Come possiamo spiegare l’omosessualità ai nostri bambini?” Innanzitutto, un bravo genitore sente la necessità di documentarsi sempre, specie per far fronte alle eventuali domande che arrivano dai bambini in seguito alle spiegazioni ricevute. Un altro aspetto fondamentale riguarda il genitore stesso: quest’ultimo dovrà farsi un esame di coscienza e capire se nei suoi insegnamenti, nella sua lettura, nei suoi pensieri, esistono dei pregiudizi. In questo modo riuscirà ad allontanare dal figlio eventuali tabù che gli avrebbero procurato delle influenze negative.
Qualora quest’ultimo dovesse chiedervi il significato della parola omosessuale, ditegli che si tratta semplicemente di una questione di gusti personali. Ditegli che è la stessa cosa quando ad esempio una persona preferisce il cioccolato al latte a quello fondente. O che preferisce la verdura alle caramelle. Ditegli che i rapporti si basano su preferenze assolutamente naturali. Che si tratta di due persone dello stesso sesso che sono felici di amarsi e di stare insieme.
A proposito del “quando parlargli” non esiste un momento preciso. È nella sensibilità del singolo genitore deciderlo. Bisogna dire, però, che prima se ne parla, prima si previene l’omofobia e la formazione di eventuali pregiudizi completamente sbagliati nel bambino. Tra l’altro, è bene che un genitore si documenti e si informi per dare delle risposte corrette al proprio bambino. E soprattutto, ciascun genitore deve imparare ad analizzare i propri pensieri, ad essere autocritico. Per comprendere se la sua interpretazione è determinata da pregiudizi che andrebbero ad influenzare negativamente il bambino.
Chi è Dio? Come spiegare chi è Dio ai bambini
La dimensione spirituale è qualcosa di veramente innato nell’uomo, quindi è opportuno affrontare l’argomento di Dio con i bambini. «Per avvicinare i più piccoli ai temi della religione un valido aiuto viene dall’arte: dalla musica al teatro, dalla poesia alla letteratura, tutto ciò che è stato prodotto dall’arte umana può andare bene per parlare di Dio e della religione, poiché la dimensione artistica è quella che più si avvicina alla dimensione religiosa.
Al bambino la fede non si può insegnare ma solo trasmettere con la testimonianza della vita. Anche in questo campo, lui impara per imitazione: con gli occhi più che con le orecchie.
Si può dire che Dio parla di sé attraverso le persone, i fatti, le cose. Dio è Amore e tutti i gesti d’amore hanno radice in lui. L’incontro dei bambini con la tenerezza che Dio ha per tutte le creature avviene attraverso i gesti di bontà degli adulti.
Cosa sono le emozioni? Come spiegare cosa sono le emozioni ai bambini
A tal proposito, il genitore in questione dovrà innanzitutto farsi un esame di coscienza e comprendere quanto lui stesso “ne sa” in materia, quanto è competente, quanto riesce lui in primis a gestire le sue emozioni. Solo con questo punto di partenza, il genitore potrà dirsi in grado di insegnare al figlio come gestire le emozioni.
Un’altra cosa che un genitore deve evitare è quello di “sminuire” le emozioni negative dei figli. Mi spiego meglio. È assolutamente normale che ad un genitore dispiaccia vedere il proprio bambino intristirsi per qualche motivo, arrabbiarsi, impaurirsi. Un dispiacere a cui di solito i genitori accompagnano la classica frase “non c’è da aver paura”, con lo scopo di consolarlo. In realtà non sanno che così facendo peggiorano solo la situazione, confondendolo sul fatto che magari sia sbagliato quello che lui stesso prova.
Quello che devono fare è lasciarlo libero di esprimersi, di riconoscere le sue emozioni e a renderlo consapevole. In questo modo, il bambino riuscirà a gestirle, ad averne il controllo e a non esserne sopraffatto. I genitori, con la loro competenza, possono aiutarlo a trovare una soluzione. Magari guidandolo, avviandolo verso un ragionamento e verificando gli effetti positivi.
Babbo Natale esiste? Come dire ai bambini che Babbo Natale non esiste
L’età della consapevolezza arriva intorno ai 7 anni, periodo in cui magari un fratello più grande o un amico rivela la verità al bimbo, mettendo a rischio un intero mondo di magia in cui credeva. E, tra l’altro, mettendo a rischio la fiducia nei confronti dei genitori, che gli hanno mentito per molto tempo. Secondo gli esperti, è meglio che i genitori non svelino mai la verità, non devono essere loro a dire che Babbo Natale non esiste. Ma al contempo devono essere sempre preparati per affrontare le domande da parte dei bambini dopo che gli è stata svelata la verità.
Tuttavia, se il bambino è ancora arrabbiato, quella potrebbe essere un giusta occasione per spiegargli la differenza tra una bugia buona e una cattiva. «La svolta avviene quando il bambino chiede seriamente, guardandoci negli occhi, se Babbo Natale esiste davvero. È un momento cruciale» spiega la dottoressa Nadia Bruschweiler-Stern.
“Ad essere decisivo è l’atteggiamento degli adulti, «perché qui ad essere in gioco non solo è la veridicità di una favola, ma il rapporto figlio-genitore e la fiducia che i bambini nutrono in noi. Non possiamo insegnare loro a dire la verità e poi mentire». Il rischio è che i bambini lo percepiscano come «un vero e proprio tradimento». Che cosa bisogna fare, dunque? «Una buona strategia è quella di coinvolgerli, chiedendo loro “Tu cosa ne pensi”? e poi spiegare che no, Babbo Natale non esiste, ma possiamo fare “come se” esistesse, a noi piace così, magari continuando a scambiarsi i doni come prima».
Un’idea da attuare potrebbe essere questa: la magia di Babbo Natale è essa stessa parte del regalo. Non è finzione, ma un vero e proprio sogno in cui il bambino viene coinvolto. Si può dire che vive nei nostri cuori, non al Polo Nord. Babbo Natale è la magia, l’amore e lo spirito del dare agli altri. Ciò che fa è insegnare ai bambini la generosità e la speranza.
Perché c’è la guerra? Come spiegare cosa sia la guerra
Solitamente, prima degli otto anni, la maggior parte dei bambini faticano a comprendere l’idea della morte, un concetto troppo astratto e complesso per loro. In primis, quindi, vanno utilizzate delle parole semplici, adatte alla loro età e alla loro esperienza. Ciò che invece riescono a capire più velocemente è il concetto di perdita e di dolore. Per questo, si può spiegare che il “litigio” tra alcune persone può causare molta sofferenza, raccontando che la guerra può separare le famiglie, far perdere loro la casa e i loro parenti. I bambini guardano, ascoltano e si fanno un’idea sulle cose. Quindi, non dobbiamo pensare mai che siano distratti, di rispondere loro in modo superficiale, ma soprattutto bisogna ascoltarlo per capire ciò che lo preoccupa.
Perché papà non vive più qua? Cosa dire ai bambini quando i genitori si separano
Si sa che fino ai 3/4 anni non occorre formalizzare la separazione, visto che a quell’età i bambini non hanno gli strumenti per comprenderla. Anzi, in questo caso la comunicazione rischierebbe solo di disorientarlo. Quando il bambino è in grado di comprendere, gli va spiegato il tutto con semplicità. In che modo? Gli si dice che i genitori, pur volendosi bene, non desiderano più abitare nella stessa casa. L’aspetto da sottolineare è che l’affetto nei suoi confronti rimarrà invariato e che entrambi ci saranno sempre per lui. Ovviamente, questa dichiarazione va dimostrata concretamente!