Coronavirus, Capelli: “La Lombardia paga una riforma sanitaria fatta a metà”

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Secondo Angelo Capelli, tra i relatori della legge sul Ssr lombardo, la riforma dei servizi sanitari territoriali "è rimasta lettera morta" Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

MILANO – Nella gestione dell’emergenza coronavirus in Lombardia “e’ mancato un filtro da parte della sanita’ territoriale, perche’ la parte della riforma del 2015 che prevedeva l’integrazione delle aziende ospedaliere con i servizi sociali e’ rimasta lettera morta. Per questo il territorio lombardo e’ rimasto completamente scoperto e gli ospedali lombardi hanno fronteggiato da soli l’epidemia”. Cosi’, in un’intervista alla ‘Dire’, l’avvocato Angelo Capelli, bergamasco, ex consigliere regionale di maggioranza della Regione Lombardia per il Nuovo centrodestra e tra i relatori della riforma del sistema sanitario regionale del 2015, analizza la gestione dell’epidemia di covid-19 da parte del Ssr lombardo.

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Secondo Capelli, a differenza di altre regioni “come ad esempio il Veneto, che ha inseguito i potenziali contagi e cercato di circoscriverne gli spostamenti o isolarli per evitarne di nuovi”, la Lombardia “ha creduto di poter gestire la cura dei contagiati”. Una strategia confermata dai numeri, che vedono la Lombardia la regione con il tasso di ospedalizzazione piu’ alto tra i pazienti affetti da covid-19.

Questa impostazione, spiega Capelli, nasce “dalla scelta, fatta nel 2017, di abbandonare del tutto il modello delle cure territoriali previsto nella riforma. Con una memoria di giunta, venne introdotta la figura del ‘Gestore’ per gestire le cure sul territorio senza strutturarne le funzioni ne’ allestire i presidi e i luoghi da dedicare alle cure extra ospedaliere. In altri termini, si e’ rinunciato ad organizzare le Aziende socio-sanitarie territoriali (Asst) non creando al loro interno la rete territoriale che mancava”.

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Per Capelli, questa scelta e’ figlia di una “mancanza di coraggio da parte della politica: si sarebbero dovuti scorporare dipartimenti e servizi che non si sono voluti toccare”. Anche la figura del ‘Gestore’, poi, “non e’ mai diventata efficace, per l’opposizione dei medici di base che non hanno voluto aderire al nuovo modello”.

A guardare i dati, pero’, la presenza della sanita’ territoriale in Lombardia appare fortemente sottodimensionata: secondo lo Snami, Sindacato nazionale autonomo dei medici, a Milano sono presenti solo 22 medici in servizio nelle guardie mediche, contro i 273 necessari secondo le linee guida del ministero. Lo stesso servizio viene svolto, a pagamento, da numerosi ambulatori privati. Ma Capelli esclude che la scelta di non attuare completamente la riforma possa essere legata anche alla volonta’ di lasciare spazio alle aziende private: “La medicina territoriale- spiega- vede una scarsissima presenza del privato, che preferisce concentrarsi su settori a piu’ alto margine di profitto. Il problema, in questo caso, deriva dal blocco del turnover a livello nazionale e dall’impossibilita’ di fare nuove assunzioni“.

L’emergenza coronavirus mette quindi in luce gli “evidenti errori” commessi nella gestione dell’epidemia ma, allo stesso tempo, offre lo stimolo per intervenire sul lavoro svolto: “Forse- conclude Capelli- l’applicazione del modello previsto nella legge regionale del 2015 avrebbe potuto contribuire a salvare delle vite umane“.

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