Coronavirus, gli italiani in Bolivia: “Soldati ovunque, siamo bloccati”

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La crisi che ha costretto il presidente Evo Morales alla fuga peggiora la situazione: imposto il coprifuoco e rigide limitazioni agli spostamenti Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

ROMA – “Siamo passati da una prima fase di quarantena leggera e di chiusura delle frontiere al controllo militare di qualsiasi spostamento. Conosco la Bolivia, ci lavoro da tempo, ma molti connazionali no: erano qui in vacanza per brevi periodi e adesso non possono piu’ andarsene. Temo per la loro capacita’ di resistere, sia dal punto di vista economico che psicologico”. Cosi’ all’agenzia Dire Paolo Femia, genovese, 57 anni, lunghi soggiorni di lavoro nel Paese andino dal 2009.

Il suo ultimo contratto con una fondazione internazionale per la quale era responsabile in America Latina era terminato alla fine dell’anno scorso, ma Femia aveva deciso di rimanere ancora a Santa Cruz de la Sierra, la seconda citta’ del Paese, e di ripartire a fine febbraio. Lo hanno sorpreso la pandemia di Covid-19, che in Bolivia a oggi ha fatto registrare ufficialmente circa 440 casi, e le misure restrittive sempre piu’ rigide imposte dal governo di La Paz.

All’inizio le autorita’ hanno sottovalutato la situazione, nonostante in Paesi vicini come il Peru’ e l’Ecuador gia’ ci fossero parecchi casi”, sottolinea Femia. Convinto che un ruolo lo abbiano avuto la crisi istituzionale che ha costretto alla fuga all’estero il presidente Evo Morales, la svolta politica conservatrice e le nuove elezioni, inizialmente previste per maggio e poi posticipate sine die. Ora pero’ il governo del nuovo capo dello Stato, Jaenine Anez, ha imposto coprifuoco e rigide limitazioni degli spostamenti.

“Non ci si puo’ piu’ spostare, neanche tra quartieri, e ci sono militari ovunque“, dice Femia. “Posso andare a fare la spesa un solo giorno alla settimana, il martedi’, in base all’ultima cifra del mio documento di identita’; anche trovare beni essenziali e’ diventato difficile“.

La vita si e’ fatta difficile anche per gli italiani. Per questo, 60 connazionali si sono riuniti virtualmente in una chat di Whatsapp, dove si aggiornano sugli sviluppi della situazione e sulle possibilita’ di tornare nel loro Paese di origine. La fonte delle informazioni e’ l’ambasciata italiana di La Paz.

“Fino a oggi- dice Femia- abbiamo avuto la possibilita’ di tornare in Europa con voli organizzati dalle ambasciate tedesca e francese”. Secondo la fonte della Dire, pero’, con queste soluzioni non c’erano garanzie di poter tornare in Italia. “A seconda del Paese ci avrebbero lasciato a Francoforte o Parigi– dice Femia- e poi avremmo dovuto trovare noi un modo per arrivare in Italia”.

Femia e molti altri si sono rifiutati: “Andare in Europa, nel momento di picco dell’epidemia e senza neanche sapere come poi raggiungere l’Italia: non me la sono sentita”.

L’ultima proposta, arrivata la domenica di Pasqua, era ancora piu’ articolata. “Ci hanno informato che l’ambasciata della Malesia organizzava un ponte aereo per Lima, in Peru’, e poi da li’ a San Paolo del Brasile”, spiega Femia. “Da li’ in poi avremmo dovuto procurarci da soli un modo per tornare in Italia, il tutto a un prezzo piuttosto elevato, 2.000 euro solo per arrivare a San Paolo“.

Secondo la fonte della Dire, tanti boliviani hanno paura perche’ “il sistema sanitario del Paese e’ del tutto impreparato a un fenomeno come quello a cui stiamo assistendo e se ci si contagia il rischio di morire e’ alto”.

Femia, e con lui altri connazionali, lancia l’appello: “Capisco che questo e’ un momento complesso per tutti ma chiediamo che la nostra situazione venga presa in carico: non siamo pochi e vogliamo tornare“.

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