Coronavirus, il dramma degli asili privati: “Senza aiuti ci fermiamo”

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Raccontiamo la storia di Tiziana, maestra e imprenditrice di Colleferro: "Ci indebitiamo senza certezze" Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

COLLEFERRO (ROMA) – Sulla copertina della pagina Facebook de ‘Lo Scarabocchio’, centro per l’infanzia 0-6 anni di Colleferro, cittadina in provincia di Roma, c’è la foto di un bambino che mostra orgoglioso il suo arcobaleno, colorato su un asciugamano. Tutti i giorni, fino al 6 marzo, per 22 anni, Tiziana Ricci ha aperto le porte di quello che chiama “il mio sogno” a circa 35 famiglie, che tutto l’anno, anche a luglio e agosto, possono contare su asilo nido, scuola dell’infanzia, centro giochi e centro estivo, per i propri piccoli. E lo ha fatto con Michela, Roberta, Maria Teresa, Eleonora, Valentina e Elisa, sue compagne di avventura in questa cooperativa sociale tutta al femminile che l’emergenza coronavirus sta, però, piegando.

“Siamo un asilo privato e non riceviamo finanziamenti dallo Stato né abbiamo convenzioni con gli enti locali: se non ci sono le rette non abbiamo altre entrate“, racconta all’agenzia di stampa Dire Tiziana, 59 anni, da oltre 20 maestra d’asilo dopo una laurea in Statistica, legale rappresentante della cooperativa che al progetto ‘Scarabocchio’ ha dedicato una vita intera.

“Paghiamo un affitto di 2.740 euro, in 22 anni abbiamo dato al nostro locatore circa 600mila euro. In più- sottolinea- abbiamo fatto tre ristrutturazioni a nostre spese, chiedendo soldi in prestito”. A marzo, arrivata la chiusura di scuole e asili col lockdown, dopo aver chiesto inutilmente la sospensione dell’affitto, la cooperativa inizia una trattativa col proprietario “con cui stiamo ancora contrattando una riduzione. I genitori non hanno voluto la restituzione della retta già versata per marzo. Ad aprile abbiamo chiesto un piccolo contributo di 50 euro per pagare le utenze. Quindi, dei 13mila euro mensili che all’incirca entrano ogni mese, ne sono entrati meno di 4mila, solo grazie al finanziamento dei genitori“.

Per ora, nessun aiuto è arrivato dallo Stato. “Noi abbiamo chiesto la cassa integrazione, che ancora deve arrivare– continua la maestra-imprenditrice- Ma il problema sono le spese fisse. Ieri c’è stato il click day della Regione Lazio, per chiedere un finanziamento di 10mila euro a tasso zero. Entro oggi saprò da un pec se sono rientrata”. Si tratta dei finanziamenti per la liquidità delle Micro, Piccole e Medie Imprese (MPMI) fino a nove dipendenti, 51,6 milioni di euro di prestiti per la copertura del fabbisogno di liquidità destinati alle imprese danneggiate dall’epidemia di Covid-19, che da ieri alle 10 hanno potuto presentare le domande online sul portale www.farelazio.it.

Niente da fare, invece, per gli aiuti destinati dalla Giunta regionale agli asili nido pubblici o convenzionati e privati accreditati. “Fondamentalmente, l’accreditamento serviva agli asili in convenzione per ricevere i finanziamenti. Noi non essendo convenzionati, non ci siamo accreditati- spiega Tiziana- Se lo avessero esteso a tutti, con 100 euro a posto di asilo nido autorizzato sarei riuscita a coprire le spese fisse e non avrei dovuto chiedere nessun prestito“. L’incubo, infatti, è indebitarsi senza sapere cosa sarà del domani, “perché non sappiamo quando si riaprirà, se si riuscirà a settembre o dovremo slittare ancora, perché i bambini sono troppo piccoli e rispettare le regole con mascherine e distanze sociali è difficile. E poi- continua- chissà se i loro genitori lavoreranno e se avranno paura a mandarli all’asilo”.

Quali le possibili vie di uscita? “Ci potrebbe essere un patto tra locatori e gestori dei locali, garantito dal primo cittadino, per trovare una soluzione condivisa e la possibilità di far rientrare tutti gli asili, anche i privati, nel sistema di aiuti della Regione o dello Stato- ragiona Tiziana- Il terzo settore tiene in piedi il Paese: se si ferma si fermano anche i servizi essenziali”. E, con questi, si fermano pure le donne. “Se chiudono gli asili nido, e nelle nostre condizioni nella nostra città siamo in cinque, ci sarà un problema per tutte le donne, il cui lavoro andrebbe a valere ancora meno- dice la maestra- L’amarezza è che il nostro è considerato un lavoro di serie di B, ‘da donne’. Che 22 anni di fatica, di lavoro, a volte mai pagato, possano svanire ed essere dimenticati. Di non avere più l’età né la forza di ricominciare. Per me era un sogno- confessa- io ho fatto politica così. Abbiamo fatto tante cose importanti e non abbiamo mai avuto mai il tempo di raccontarle, perché è un lavoro veloce e faticoso”.

I ricordi di Tiziana vanno indietro nel tempo: “L’idea del centro per l’infanzia nasce nel 1998 da una lista civica che in campagna elettorale parlava dei bisogni delle persone e dei bambini- racconta- Per non disperdere quell’esperienza otto donne, che avevano otto storie diverse, si sono messe assieme: 8 milioni di lire ciascuna per creare una struttura che all’epoca era unica sul territorio. Siamo andate a fare l’esame di Stato per il diploma di assistenti all’infanzia mentre dipingevamo le pareti“.

Ispirata alle scuole di Reggio Emilia e al pensiero del pedagogista Loris Malaguzzi, “‘Lo Scarabocchio’ è una scuola esperienziale”. I bambini hanno a disposizione “tutti i materiali che vogliono- continua la maestra- l’insegnante non lavora su una programmazione, ma su progetti di breve durata”, di modo che i piccoli “riescano a vedere la realizzazione veloce di ciò che fanno. Io avevo in piedi un progetto sugli scacchi, uno sulle forme geometriche, uno sulla lettura. E poi un nuovo progetto sulla genitorialità ,con attività genitori-figli, ma anche dedicate solo agli adulti o solo ai bambini. Si chiama ‘Il circolo’ e nasce in collaborazione con alcune professioniste”. Dalle fiabe al telefono alla ‘psicologia della famiglia, per la famiglia’, al gioco come strumento educativo, ‘Il circolo’ non si ferma e continua la sua attività su Facebook. Ma Tiziana frena sulla didattica a distanza: “Per bambini così piccoli non è facile. Ho provato a raccontare loro storie, a mandare schede, abbiamo provato anche a vederci tutti insieme su Zoom. Ma mi rendo conto che hanno bisogno del contatto fisico e che è un momento difficile per loro, che stanno cercando di capire ciò che stanno vivendo”. E se all’inizio “inventavano pozioni contro il virus e me le raccontavano, adesso non ne hanno più voglia”. Potere delle maestre che entrano in contatto coi bisogni dei più piccoli anche a distanza. E che, “senza un riconoscimento pubblico”, rischiano di non poterla più colmare.

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