Coronavirus, il medico in Madagascar: “Qui si rischia la strage, anche per la fame”

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Il Paese con il terzo Pil più basso al mondo si scopre non immune al virus. E adesso a preoccupare è anche il caro-vita Condividi su facebook Condividi su twitter Condividi su whatsapp Condividi su email Condividi su print

ROMA – L’11 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato l’infezione da nuovo coronavirus una pandemia. Se è vero che il virus non conosce frontiere e colpisce in modo indiscriminato a qualsiasi latitudine, è altrettanto vero che la sua carica distruttiva, in termini di costi umanitari, economici e sociali, è strettamente legata alle diverse condizioni materiali dei Paesi in cui si diffonde. Uno stesso nemico che incontra più o meno resistenze, in un mondo segnato da troppe disuguaglianze. È la constatazione che emerge dalla testimonianza di Luigi Coppola, medico di malattie infettive al Policlinico di Tor Vergata, che sta prestando servizio in Madagascar da alcuni mesi.

IL VIRUS È (ANCHE) IN MADAGASCAR

“Siamo ad una cinquantina di casi confermati qui in Madagascar, ma il numero sale rapidamente – scrive l’esperto – tanto più che solo da pochi giorni si è cominciata a fare una ricerca più seria e sistematica. Fino a qualche giorno fa quindi i malgasci avevano la percezione, consolidata dalla stampa ufficiale, di vivere su un’isola immune, nonostante tutte quelle vicine (Reunion, Mauritius, Comore) avessero già dei casi confermati e nonostante il traffico aereo sia stato ridotto di poco dall’inizio dell’epidemia”. Ma da quando sono stati trovati dei casi conclamati, il governo non può più far finta di niente.

LE CITTÀ CONFINATE

“Da quel momento sono state poste in stato di confinamento le tre città che per prime hanno ospitato i contagiati – continua Coppola – in particolare la capitale Antananarivo è ora una città deserta, presidiata dall’esercito. Nonostante questo zelo per le misure di restrizione di movimento tra città e all’interno della città, è mancato fino ad ora tutto il resto: le misure di supporto alla popolazione ed una adeguata rete di diagnosi; i tamponi erano disponibili, fino ad oggi, nel solo Istituto Pasteur di Antananarivo”.

TRA I PIL PIÙ BASSI AL MONDO

Se quindi il governo ha rapidamente imposto il divieto di circolazione, difficilmente riuscirà a trovare le risorse per sostenere le conseguenze umanitarie di questa misura, potenzialmente devastanti in un Paese già così povero. “Il Madagascar è il terzo Paese a più basso Pil” sottolinea Coppola. “La popolazione nella quasi totalità vive in condizioni di povertà, sopravvivendo con un reddito giornaliero che proviene dalla vendita presso i mercati di prodotti agricoli o allevamento. Non ha scorte economiche né tanto meno alimentari, perché la refrigerazione non è possibile nei villaggi, dove la corrente è affidata a piccoli pannelli solari, e anche nelle grosse città è un lusso che solo pochi si possono permettere.

LA FAME UCCIDERÀ PIÙ DELLA PANDEMIA

Quindi il confinamento in casa è impossibile, la chiusura dei piccoli esercizi commerciali ha l’inevitabile conseguenza di affamare una popolazione già affamata. Temo che le restrizioni per impedire la diffusione dell’infezione, se non adeguatamente supportate da politiche sociali, provocheranno più decessi di quelli dovuti al virus”.

I BIANCHI “UNTORI” E I VOLONTARI CHE LASCIANO

Inoltre la paura scatenata dalla diffusione dell’epidemia, come in molti Stati africani, sta facendo montare un sentimento di ostilità verso i bianchi, considerati “untori”. “Era prevedibile che saremmo diventati il capro espiatorio – scrive Coppola – soprattutto vedendo il taglio della stampa, dei social e dei discorsi ufficiali del presidente, che precisa la nazionalità dei contagi calcando su quella degli europei. È decisamente comprensibile, ma è doloroso vedere come i sorrisi e le cordiali canzonature dei passanti siano stati sostituiti da gesti di paura, rabbia o disgusto e quella parola urlata come un’accusa quando ci vedono passare: ‘Coronavirus!’”.

In un clima così teso moltissimi volontari internazionali presenti in Madagascar si vedono costretti, anche se controvoglia, ad abbandonare l’isola al suo destino. Un destino che potrebbe rivelarsi tragico in un Paese in cui già la quotidianità è già sofferenza.

SALE IL PREZZO DEL RISO

“Già oggi il prezzo del riso, elemento base dell’alimentazione dei malgasci, è aumentato” continua Coppola. “Alcuni prodotti hanno visto un aumento del prezzo fino a dieci volte. Non so come potrebbe reagire una popolazione che ogni anno vede morire migliaia di persone, soprattutto bambini, per altre patologie o semplicemente di fame.

COVID-19? QUI È L’ENNESIMA PIAGA

Spero che l’età media bassa, le distanze siderali tra i centri abitati e la difficoltà di spostamenti possano limitare i danni di quella che potrebbe essere una strage, l’ennesima. Ma qui la Covid-19 perde la sua ‘C’ maiuscola e si mette in coda dietro a tutte le altre patologie neglette che qui ogni anno ancora mietono vittime: la lebbra, la tubercolosi, la peste e la malaria. A queste piaghe si aggiungono la siccità estrema al sud e le inondazioni devastanti al nord, che negli ultimi anni sono sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici”.

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