Coronavirus, lo scrittore Cotti ne è certo: il suo “cinese” avrebbe aiutato gli italiani
- Carlotta Di Santo
- 30/03/2020
- Cultura, Giovani
- c.disanto@agenziadire.com
"Se avessero considerato Luca Wu un 'untore' probabilmente si sarebbe anche incazzato", scherza l'autore de "Il cinese" Condividi su facebook Condividi su twitter Condividi su whatsapp Condividi su email Condividi su print
ROMA – “Certamente il poliziotto Wu avrebbe sofferto per l’iniziale discriminazione nei confronti dei cinesi. E se l’avessero considerato un ‘untore’ probabilmente si sarebbe anche incazzato. Ma alla fine sarebbe sceso in strada per rendersi utile e magari si sarebbe offerto per far dialogare la comunità cinese di Torpignattara con il resto del quartiere” di Roma. L’ultimo libro di Andrea Cotti, uscito nel 2018, si intitola Il cinese e racconta le vicissitudini del vicequestore aggiunto Luca Wu, poliziotto italiano ma di origini cinesi che si districa nella Chinatown romana tra la mafia orientale e la diffidenza di colleghi e conoscenti. Un sospetto che la comunità cinese in Italia ha vissuto realmente oggi con l’esplosione del Coronavirus.
COSA AVREBBE FATTO LUCA WU
L’agenzia Dire ha raggiunto al telefono Cotti, un tempo libraio, oggi poeta, sceneggiatore (è suo, per fare un esempio, L’ispettore Coliandro) ma soprattutto scrittore, per chiedergli come si sarebbe comportato il protagonista del suo romanzo se si fosse ritrovato a dover affrontare l’epidemia e in che modo avrebbe vissuto l’inizio del virus quando i cinesi erano accuratamente evitati.
“Nella fase in cui tutti quanti cominciavamo a preoccuparci ma ancora non eravamo assediati dalla pandemia – racconta Cotti – notavo che tutto quello legato alla Cina era visto come pericoloso, inquinato, infettato. Tanto che – scherza – avevo proposto di cambiare il titolo del mio libro in Il Finlandese“.
DALLA CINA-FACOLAIO ALLA CINA-RISOLUTORE
Da qualche settimana, però, la collettività non considera più la Cina sinonimo di contagio e virus, ma di efficienza e soluzioni concrete. “La comunità cinese è stata la prima ad avere una reazione netta e decisa dal punto di vista dell’autoconservazione – fa notare lo scrittore – chiudendo tutto molto prima che l’Italia decidesse ufficialmente di farlo. È stata la prima a capire che per contenere il contagio la soluzione migliore era evitare i contatti“. Così i cinesi, da ‘focolai’ della malattia, sono diventati i risolutori, sfatando anche un altro luogo comune, quello che riguarda la loro ‘chiusura’ e impermeabilità.
“In questo periodo ho visto enormi scambi tra la nostra e la loro comunità – prosegue lo scrittore – Probabilmente questa disgrazia porterà dietro qualcosa di buono, come un ulteriore abbassamento del muro tra noi e gli altri. Sarà un cambiamento interessante per il futuro”.
BREVE BIOGRAFIA
Andrea Cotti è nato nel 1971 a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, dove risiede ancora tutta la sua famiglia, e lui vive a Crevalcore “poco lontano da lì, ad una decina di chilometri, in una casa in piena campagna”. Non gli pesa l’isolamento, perché “di mestiere scrivo e ci sono abituato”, dice, anche se “una cosa è rimanere in casa perché si vuole, un’altra è essere obbligati. Un piccolo dettaglio che ribalta la situazione. E ora – ironizza – per andare a trovare mio devo fare l’autocertificazione”.
NE IL SEGUITO DE IL CINESE, NIENTE COVID-19
Cotti, dopo essere tornato in Cina per fare ulteriori ricerche, sta preparando il seguito de Il cinese, che dovrebbe consegnare a settembre, ma confida di fare “veramente tanta fatica a scrivere perché la testa, nonostante i tanti anni di esercizio di autodisciplina, se ne va altrove”. Ma inserirà il Coronavirus nel suo nuovo romanzo? “Non credo – anticipa Cotti – soprattutto per una questione cronologica. Oltretutto la vicenda si svilupperà in Cina e non voglio diventi una storia sul virus. Sono poi certo che usciranno decine di romanzi e fiction sul Coronavirus, quindi – ride – il mio libro alla fine sarà il più originale. Infine, giusto per farmi nuovi amici, tratterò le proteste di Honk Kong. E se ci mettessi anche il Coronavirus credo che mi verrebbero a cercare a casa…”.
Cotti non è certo che il Coronavirus cambierà “il nostro modo di raccontare”, ma certamente ora “esiste il rischio che qualunque storia sarà sempre meno interessante di quella che le persone hanno vissuto, perché un evento traumatico segna un discrimine nell’immaginario e nell’emotività delle persone”.
Lo scrittore però è anche certo che alcuni temi funzionino sempre, a prescindere dal resto: “Le persone hanno sempre voglia di leggere una bella storia d’amore. Magari nei prossimi mesi anche quelle saranno tutte ambientate al tempo del Coronavirus o magari nei prossimi anni racconteranno un modo diverso di vivere, non necessariamente focalizzate sul tema del virus”.
TRA I 3 LIBRI CONSIGLIATI C’È ANCHE UN PO’ DI EROS
Per gli italiani costretti a casa questo potrebbe essere infine un’occasione per leggere di più. Quali sono tre libri che vuole consigliare? “Consiglio quello che ho sul comodino – risponde infine Cotti – il primo è La danza del gorilla di Sandrone Dazieri, il secondo è I giorni del giudizio di Giampaolo Simi, il terzo è il libro di una scrittrice emergente, Giulia Seri, che si chiama Sotto il suo occhio. È un romanzo molto bello, che tratta un tema sociale, con una costruzione vagamente noir; il personaggio protagonista femminile è fortissimo e ha anche una venatura erotica – conclude con il sorriso – che in questo periodo è gradita”.
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