Coronavirus, termina l’odissea di un’infermiera di Nola: per lei ora c’è una casa disponibile

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La donna aveva raccontato alla Dire le sue difficoltà nel trovare un alloggio. Un professionista le ha offerto la sua disponibilità Condividi su facebook Condividi su twitter Condividi su whatsapp Condividi su email Condividi su print

NAPOLI – Dopo la denuncia di un’infermiera dell’ospedale di Nola (Napoli), che ha raccontato alla Dire tutte le difficoltà riscontrate nel cercare un alloggio lontano dalla sua famiglia, un professionista si è reso disponibile ad offrire una casa per ospitare la donna. Il cittadino ha contattato la testata ‘Il Fatto Vesuviano’, che ha ripreso la denuncia della Dire, per lasciare il proprio numero di telefono dichiarandosi disponibile a dare gratuitamente una sistemazione all’infermiera.

“Ho cercato casa, ma sono un’infermiera e nessuno vuole affittare casa a un’infermiera. Scappano”. La donna lavora nel reparto di rianimazione dell’ospedale Santa Maria della Pietà di Nola in provincia di Napoli. Dopo aver assistito un paziente che era stato intubato, e successivamente risultato positivo al tampone per il nuovo coronavirus e trasferito nel centro Covid di Boscotrecase, ha deciso di lasciare la casa dove vive con i suoi genitori. “Sono anziani e con problemi oncologici, insomma sono persone a rischio. Ero molto preoccupata”, spiega la donna, che preferisce restare anonima.

“Cercare casa è stata un’odissea – dice -. Mi chiedevano che lavoro facessi. Io sono un’infermiera, pensano che sia infetta. Sono riuscita a trovare sistemazione da poco in un residence a San Vitaliano. Spendo 500 euro per un mese, esclusi i consumi. Visto il mio stipendio sto lavorando per pagarmi un posto in cui stare e poco più…”. L’infermiera si dice “spaventata. Ci chiamano eroi, oggi, ma non lo siamo. Sono stata messa lì in rianimazione all’improvviso, non c’e’ formazione. Nel nostro pronto soccorso transitano pazienti e solo dopo si scopre che sono positivi. Nessun posto è sicuro nè ci sono i dispositivi adatti”. Neanche in rianimazione “ci sono le mascherine ffp2 o ffp3 – racconta – io ho a disposizione una mascherina chirurgica. Una al giorno. Qualcuno si procura da solo le mascherine. Abbiamo problemi anche con i camici. Aspetto che mi venga eseguito un test, vorrei incontrare i miei genitori. Quando hanno bisogno di qualcosa lo lascio fuori la porta di casa”.

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