Covid, Maruotti (Statgroup-19): “Dati non attendibili, così Rt va buttato”
ROMA – “Il dato è tutto in questa epidemia di Covid-19 e sui dati si continua a fare confusione. L’Rt, assunto dalle istituzioni scientifiche di questo Paese per destinare o meno una Regione ad un colore con più restrizioni, è per definizione una quantità stimata, non osservata. Basare le decisioni su Rt, anche per come viene stimato, non ha alcun senso”. Queste le parole che consegna alla Dire Antonello Maruotti, ordinario di Statistica all’Università LUMSA e co-fondatore dello StatGroup-19, il gruppo di ricerca costituito da accademici in campo statistico: Fabio Divino, professore all’Università del Molise, Alessio Farcomeni dell’Università di Tor Vergata, Giovanna Jona-Lasinio dell’Università Sapienza di Roma e Gianfranco Lovison, dell’Università di Palermo.
Le perplessità e le osservazioni critiche di StatGroup-19 non nascono ora, dopo 11 mesi dall’inizio dell’emergenza dovuta al Covid-19, e non sono frutto di un’inevitabile pandemic fatigue che sta toccando molti, anche nella comunità scientifica. No, il gruppo di ricerca è nato insieme all’emergenza, per seguire e dare un contributo nell’elaborazione dei dati all’evoluzione dell’epidemia.
“Uno degli obiettivi che ci siamo sempre posti come gruppo- continua- è fornire una corretta comunicazione. Non ci sono esperti di statistica nel Comitato tecnico scientifico e i dati prodotti dall’istituto superiore di sanità, che li raccoglie a sua volta dalle Regioni e li rielabora per determinare i colori con le rispettive restrizioni, mancano di riferimenti utili a definire e rendere autorevole il dato”.
In un post su Facebook, StatGroup-19 ha scritto: ‘In questo momento qualcuno ha affermato che l’epidemia potrebbe essere fuori controllo. Dai dati a disposizione dei gruppi di ricerca indipendenti, come StatGroup-19, non è possibile dire se l’epidemia sia fuori controllo. E’ però possibile dire che il processo di raccolta dei dati è fuori controllo’.
E’ una posizione molto critica nei confronti dei decisori politici, perché? “Noi abbiamo piacere per il lavoro che facciamo e non abbiamo bisogno di prendere il posto di altri. Quando uscì il rapporto di Silvio Merler, ricercatore della Fondazione Kessler e che ipotizzava 150mila morti entro febbraio 2021, fummo contattati in via informale per un’opera di verifica dei risultati contenuti nel rapporto. Mandammo le nostre osservazioni e i nostri interlocutori ci dissero che le osservazioni erano state lette. Poi però non avemmo alcun riscontro. Evidentemente volevano procedere in diverso modo. In ogni caso non ci siamo sentiti tagliati fuori, per noi non è questo il problema, anzi abbiamo realizzato un’applicazione in cui è stato inserito anche il nostro modello di previsione per le terapie intensive e i decessi. Il 24 marzo del 2020 ero in televisione in prima serata a parlare di dati con il professore Silvio Brusaferro, gli chiesi la disponibilità a condividere alcuni dati, era un momento in cui l’epidemia mordeva e non avevamo ancora sufficienti informazioni per resistere al virus. Chiesi naturalmente che fossero resi pubblici quei dati, perché servivano a comprendere, non solo per statistici come noi ma anche all’opinione pubblica: l’Iss all’epoca disse che non poteva rilasciarli poi fecero un accordo con l’Accademia dei Lincei, un’organizzazione eccellente ma non finalizzata alla ricerca scientifica. L’accordo sui dati per l’Accademia, in ogni caso, fino a poche ore fa non ci risulta sia operativo. Il punto per noi è fare in modo che i dati siano attendibili, invece sono fuori controllo. Abbiamo fatto una grossa battaglia con la Società Italiana di Statistica ma, ad oggi, nulla è cambiato. Una grossa parte delle competenze nell’elaborazione dei dati, che caratterizzano il ruolo dello statistico, non viene considerata”.
In ragione dei dati vengono decise poi le restrizioni per il territorio nazionale. Perché i dati non sono attendibili? “Il problema è l’RT– dice Maruotti- è un indicatore che non viene osservato, ma stimato, ed è pertanto soggetto ad incertezza. Inoltre, i dati su cui sono calcolati i colori e le relative restrizioni sono inviati dalle stesse Regioni, che non c’è ragione di credere siano falsati volontariamente ma si può sempre obiettare che il sorvegliato (le Regioni) è anche colui che rileva i dati. Mi spiego meglio, se avere un’incidenza per 100mila abitanti superiore a 250 porta a finire in zona rossa, le Regioni potrebbero modificare i loro comportamenti per restare sotto questa soglia, ad esempio smettendo di cercare i casi positivi riducendo l’attività di screening. A ciò si aggiunge un cambiamento recente, ovvero l’inserimento del computo degli antigenici insieme ai molecolari, che abbassa di molto l’indice di positività, calcolato sui tamponi. Questo, da un lato ci dà la percezione che la situazione sia in netto miglioramento, dall’altro ha reso il monitoraggio molto più complesso. Relativizzare è fondamentale, altrimenti si ha una visione distorta dell’evoluzione dell’epidemia. Durante le feste natalizie abbiamo avuto una riduzione in termini assoluti dei casi, ma anche una pari riduzione nel numero di tamponi effettuati. Questo, oltre a mantenere particolarmente alto il tasso di positività, ha fatto sì che per un lungo periodo abbiamo rallentato la ricerca dell’epidemia. La percezione non sempre rispecchia la realtà dei dati ed il trovarsi in una sorta di ‘strega comanda colore’ è molto probabile’.
Secondo questo ragionamento l’RT potrebbe essere distorto. “L’RT viene stimato sulla base di un modello consolidato, ma che richiede stringenti assunzioni. È affidabile per avere una tendenza dell’epidemia, ma il suo uso per definire fasce di rischio è inappropriato. C’è ad esempio un’assunzione circa il tempo di generazione, fondamentale per la stima di RT. Il tempo di generazione assunto attualmente è quello stimato in Lombardia nel febbraio 2020, un’assunzione che ormai potrebbe non essere corretta. Quindi basare le decisioni sul solo Rt è pericoloso. Inoltre, non c’è solo un modello per stimare l’Rt: Michela Baccini dell’Università Firenze ne propone uno davvero interessante, in cui il modello tiene conto non dei positivi ma dei decessi, numeri che hanno il vantaggio di essere più stabili e avere una definizione costante nel tempo. Come detto in precedenza, Rt ha una sua incertezza riassunta dall’intervallo di valori plausibili che ne accompagna la sua stima puntuale. Poco prima di Natale, l’Iss ha deciso di prendere in considerazione l’estremo inferiore di questo intervallo come valore di riferimento per ridefinire i colori delle Regioni. Questo si è accompagnato alle nuove soglie di Rt per la definizione delle diverse zone, un esempio: dai dati del report numero 35 del 13 gennaio, prendiamo il dato della Regione Toscana, che è tornata in zona gialla. La Toscana aveva Rt 1.01, quindi sopra 1, seppur di poco. Per considerarne il colore, è stato considerato l’intervallo di valori plausibile tra 0.96 e 1.07, poiché si prende il valore più basso, 0.96, la Toscana non finisce in zona arancione pur avendo oltre 1. In termini più formali, la Toscana non ha un Rt statisticamente diverso da 1. La Lombardia ha un valore oscillante di stima tra 1,38-1,43, statisticamente significativamente superiore a 1.25. Quindi è corretto che sia in zona rossa, secondo questa logica; seppure le principali variabili osservate, dall’incidenza all’occupazione delle terapie intensive, mostrino segni di miglioramento tali da non giustificare la zona rossa”.
E’ quindi giusto che Lombardia ricorra al Tar, la cui pronuncia nelle prossime ore a meno di sviluppi più imminenti che potranno venire da nuovi dati? “Non credo sia corretto contrapporre la scienza alla giustizia amministrativa– risponde ancora Antonello Maruotti- quindi la Lombardia fa male a ricorrere al Tar. In ogni caso, però, bisogna basarsi sui dati osservati non stimati. Quindi l’uso di Rt per definire delle soglie su cui prendere decisioni è sbagliato. Se i dati fossero di alta qualità, si potrebbe guardare l’incidenza e il peso delle terapie intensive sugli ospedali, il numero dei morti. I tamponi non vanno bene perché abbiamo visto che il numero è arbitrario: dipende dalla politica di screening che le Regioni decidono di fare”.
Cosa servirebbe, quindi? “Dati osservati e non stimati per prendere decisioni. RT, così com’è, va buttato, o tenuto solo per avere un’idea di dove stia andando l’epidemia. I 21 indicatori creati sono fatti su quantità che osservano, catene di trasmissione, focolai, etc. Quindi perché non prendere in considerazione, costantemente, i 21 parametri e spiegarne in modo semplice il loro impatto sul processo decisionale? Un’ipotesi di risposta è che i dati che vengono forniti siano poco attendibili, rendendo tali anche gli indicatori. Negli altri paesi europei non viene seguito lo stesso criterio dell’RT, si segue per lo più l’incidenza e l’andamento delle terapie intensive. In Regno Unito fanno cinque volte i tamponi che facciamo noi e si basano sull’incidenza, non sull’RT come valore fondante’.
Il sistema a colori è corretto? “Il sistema è giusto, la differenziazione territoriale è sacrosanta, sarebbe meglio farla per province e non solo per Regioni, ma a livello provinciale non ci sono i dati per tutte le variabili dell’epidemia. Si devono utilizzare i 21 indicatori: la Calabria è finita in zona rossa per via degli indicatori, non per l’Rt. L’incidenza sia a 7 che a 14 giorni è stata sempre più bassa, la seconda più bassa d’Italia, dopo la Toscana. Se guardiamo agli indicatori di resilienza della Calabria, oggi, sono migliorati: cosa è cambiato? Nulla. Dal punto di vista della resilienza non è cambiato nulla. Fanno bene a prendere decisioni di prudenza ma dovrebbero spiegare bene perché, la comunicazione dei dati di cui parliamo da 11 mesi necessita di maggiore trasparenza e meno eterogeneità”.
E’ un problema solo di dati? “StatGroup19 nasce su una chat su Facebook, commentavamo quello che il biologo Enrico Bucci diceva, lo riteniamo molto bravo e le sue osservazioni sono puntuali. Eravamo però allo stesso tempo indignati dai commenti di molti statistici improvvisati, l’approssimazione nell’analisi dei dati non fa bene alla gestione della pandemia. Le competenze spese per l’elaborazione dei dati non ci sembravano e non ci sembrano tuttora attinenti a quelle richieste per la situazione. Il governo ha fatto un nuovo bando, di tipo diverso, ma sempre sul Covid, chiedendo dei risultati pronti in sei mesi. Noi abbiamo partecipato e fatto un accordo sullo screening con il Comune di Fara Sabina, nel Lazio, ma abbiamo dovuto rinunciare perché non ci hanno mai comunicato l’esito del bando. Doveva uscire prima dell’estate, poi è stato rimandato all’autunno, siamo a febbraio ma sembra non vi sia ancora alcuna traccia. Il dato è tutto in questa epidemia e sui dati si continua nel caos. Abbiamo fatto una petizione, raccogliendo 1550 firme per ribadire l’importanza delle competenze specifiche, anche all’interno del Cts. Vediamo che succede”.
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