Delitto di Via Poma, ex capo Ris: “Non dimentico lo sguardo del papà di Simonetta”

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A parlare all'agenzia Dire a 30 anni dal delitto Cesaroni é Luciano Garofano, comandante del Ris di Parma quando nel 1990 la donna venne uccisa con 29 coltellate nell'ufficio dove lavorava Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

ROMA – “Le cose che mi colpirono di piu’ allora furono la dedizione con cui i pm che a Roma si occuparono del caso dell’omicidio di Simonetta Cesaroni a via Poma e l’amore del papa’, il suo silenzio, che in realta’ era rumorosissimo”. A parlare all’agenzia di stampa Dire a trent’anni dal delitto di via Poma e’ Luciano Garofano, gia’ comandante del Ris di Parma all’epoca del femminicidio di Simonetta Cesaroni, uccisa il 7 agosto 1990 con 29 coltellate nell’ufficio dove lavorava. Un caso avvolto nel mistero ancora oggi che papa’ Claudio non c’e’ piu’, nonostante la speranza di ottenere giustizia, nutrita con la moglie, Anna, e l’altra figlia, Paola. “Non ho piu’ avuto la possibilita’ di parlare con il papa’ perche’ mori’- continua Garofano- Tempo prima avevo chiesto al pm di fare un’attivita’ di ricerca sui mobili che adornavano lo studio dove lavorava Simonetta e dove e’ stato trovato il suo corpo senza vita. Li ritrovammo in un deposito- racconta- e facemmo una ricerca di tracce latenti. Ripercorremmo tutta la scena del delitto e il papa’ volle essere presente in alcune di queste attivita’, anche se le notizie che filtravano erano sempre molto riservate. Non dimentichero’ mai il suo sguardo di speranza- confessa Garofano- Sperava potessero emergere dei risultati, ma quei risultati portarono a un esito differente. E mi dispiace che la giustizia non gli diede mai delle risposte”.

TRA GLI INDAGATI IL FIDANZATO DI SIMONETTA, ASSOLTO IN APPELLO

Tra gli indagati su cui il Ris strinse il cerchio Raniero Busco, fidanzato di Simonetta, ritenuto in primo grado colpevole dell’omicidio della ragazza – all’epoca 21enne – e poi assolto dall’accusa dalla Corte di Appello di Roma. “Avevamo trovato delle tracce significative che dimostravano la responsabilita’ del signor Busco e che trovavano una corrispondenza nei rapporti conflittuali tra i due. Ma ci tengo a sottolineare che il signor Busco e’ stato assolto e come tale deve essere considerato. Quelle tracce, per noi, avevano un significato differente- sottolinea l’allora comandante del Ris- Alla sua condanna di primo grado aveva portato la lesione rinvenuta sul seno della ragazza, che fu diagnosticato come un morso, coevo con le altre ferite. Il Dna del signor Busco fu trovato proprio sulla parte sinistra dove il seno aveva ricevuto questo morso. In secondo grado, pero’- precisa Garofano- la perizia del medico legale nominato dalla Corte concluse che quella lesione poteva attribuirsi a genesi varie, che non era un morso. E che le tracce di Dna attribuibili al signor Busco non erano da legare all’aggressione, ma a loro incontri pregressi”. Anche se secondo il nucleo investigativo “quelle tracce non avrebbero potuto resistere alla cura con cui la mamma lavava gli indumenti della famiglia tutti i giorni, essendo estate”. Inoltre, “tutte le evidenze mostrate da quella scena– sottolinea ancora Garofano- prevedevano l’ingresso di una persona conosciuta. Anche questo era un ulteriore elemento che andava nella direzione dell’ex fidanzato”, perche’ “mancavano altri segnali che potessero far pensare a uno sconosciuto o un rapinatore”.

GAROFANO: “ALL’EPOCA NON C’ERA LA CULTURA PER CONSIDERARLO UN FEMMINICIDIO”

L’assassinio di Simonetta “suscito’ grande interesse mediatico e non solo, come anche il delitto dell’Olgiata. All’epoca, pero’, non c’era la sensibilita’ e la cultura per considerarlo un femminicidio”, ricorda Garofano, autore de ‘I labirinti del male. Femminicidio, stalking e violenza sulle donne: che cosa sono, come difendersi’, scritto a quattro mani con Rossella Diaz e pubblicato nel 2014 per Infinito Edizioni. L’interesse, sostiene l’allora comandante del Ris, probabilmente “era dovuto al fatto che Simonetta era la classica ragazza figlia di una famiglia media per bene, che fosse successo in un quartiere di Roma centrale, in un condominio, per cui sembrava impossibile che un assassino senza motivazione potesse entrare e togliere la vita a questa ragazza”, conclude.

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