Donne, Virgillito (S.Anna): “Oltre alle ‘quote’, entrare nei rapporti di potere”

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Impiego femminile "usurante, a rischio e a basso reddito e 70% occupazione non da casa" Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

ROMA – Le ricerche ancora in corso, partendo dai dati aggregati, indicano che è donna la maggiore probabilità di “percepire un reddito molto basso, di non poter telelavorare, di svolgere occupazioni basso-remunerate, a termine, più esposte al rischio di cessazione”. Ma non solo, è donna la possibilità di “svolgere attività usuranti, nel carico e anche dal punto di vista psicologico, quindi anche a maggior rischio in termine di tutela perché con basso potere contrattuale, come accade per tutti i lavori legati alle pulizie, ad esempio”. A descrivere la fotografia in numeri delle donne in questa Fase 3, a partire da uno studio accademico in corso, è la ricercatrice dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Maria Enrica Virgillito che, intervistata da DireDonne, ha spiegato come per le donne nel post pandemia “i rischi reddituali, occupazionali, sociali si stiano sommando ed amplificando”.

E’ sempre importante “distinguere la situazione strutturale da quella congiunturale” ha chiarito la ricercatrice, ricordando che “il mercato del lavoro italiano ha delle grandi debolezze indipendentemente dalla condizione di genere”, con “una media di occupazione più bassa di quella europea, siamo intorno al 60%”. E infatti “l’occupazione femminile in Italia è ben al di sotto della media europea: 50% contro il 67,4%. La questione si aggrava ancor più nel sud Italia con tassi di occupazione intorno al 33%. Il lockdown ha amplificato molto le disuguaglianze e le occupazioni che si possono svolgere con il ‘lavoro da casa’ sono l’eccezione piuttosto che la regola”. A tutto questo si è sommata la crisi portata dal Covid: “L’imposizione di un lockdown generalizzato” e, quanto allo smart working, “emerge da un’altra ricerca della Scuola Sant’Anna di Pisa che il 70% delle occupazioni svolte non può essere condotta da casa“, quindi “solo 6-7 milioni di persone hanno questo ‘privilegio’. Secondo la nostra analisi, svolta insieme ad Armanda Cetrulo e Dario Guarascio- ha tenuto a ribadire Virgillito- la scuola rientra in tutte quelle attività che non possono essere svolte telelavorando e se lo si fa, ciò comporta un completo stravolgimento della natura dell’occupazione stessa”.

DONNE E CARRIERA

L’economista nella sua analisi non ha parlato solo di accesso all’occupazione, ma anche di carriera e di scalata al potere. Nel mondo accademico, ad esempio, “le donne che riescono ad accedere al dottorato e all’attività di ricerca- ha spiegato- raggiungono più o meno la stessa percentuale degli uomini, man mano che aumenta la gerarchia la percentuale femminile diminuisce. Questo non accade solo nel mondo accademico. Ma non bastano le quote rosa”, secondo la ricercatrice, e “bisogna uscire dalla sola idea della parità nelle rappresentanze, ma spostare la questione nei rapporti di potere e in come si entra nei processi decisionali, con una riorganizzazione complessiva anche delle tutele date nelle condizioni di partenza del lavoro”.

DONNE E MATERNITA’

Uno sforzo culturale oltre che tecnico, che richiede anche un cambiamento di mentalità su come una donna in carriera debba, ad esempio, approcciare la maternità: “Magari, se una donna lo vuole, anche allungandone i tempi, anche che arrivi a 1 anno o 2, perchè educare i figli non è solo un’attività privata, ma è una responsabilità collettiva e non ci vedo nulla di male in una maternità esclusiva. I figli della classe intellettuale di 50 anni fa avevano un tempo da parte dei loro genitori maggiore. La produttività è un problema delle scelte organizzative e di investimento tecnologico delle aziende. Una maternità lunga, tuttavia, non dovrebbe essere una scelta imposta dalla scarsità e inaccessibilità ad asili nido, ma l’esercizio del diritto di educare in modo dedicato i propri figli, garantendo la sicurezza occupazionale”, ha aggiunto. E’ un pensiero che non ha paura di toccare le differenze uomo-donna quello della ricercatrice del Sant’Anna di Pisa, tanto che si dice disponibile a prevedere, ad esempio, “per i giorni del mese del ciclo mestruale dei permessi. Siamo diversi, vanno bene i congedi parentali, ma rimane sostanziale la differenza anche nella rivendicazione dei diritti”, ha ribadito, e bisogna “ricomporre le diverse istanze, non solo a partire dal genere” e da quelle differenze che sono “antropologiche”. Quanto alle quote, ha risposto con fermezza: “Occorre andare oltre, oltre gli strumenti di sola tutela e influire nei processi decisionali di questa societa’”.

Un carico, quello di stratificazione cura e lavoro, che si è fatto sentire ancor di più ora, con le scuole chiuse, e per questa ragione Virgillito ha detto che “la scuola deve assolutamente ripartire a settembre. Pensiamo allo shock di un bambino in prima elementare che stava appena imparando a gestire il tempo e la divisione da casa e il dramma dell’apprendimento, anche perché non tutti i genitori sono nella condizione di insegnare ai propri figli”. A volte, inoltre, “l’arretramento delle donne dal mondo del lavoro è indotto – ovvero imposto da una scelta tra vita privata e occupazione – ed è determinato dallo scoraggiamento”.

I DATI SULL’INATTIVITA’

Un po’ la stessa cosa che emerge dal dato Istat congiunturale su occupati e disoccupati: “La diminuzione tra le donne che cercano lavoro raggiunge una cifra quasi doppia rispetto a quella degli uomini in questo mese”. Ma perché? “La probabilità di fallire- questo il pensiero delle donne secondo Virgillito- è talmente alta che si fanno da parte. A ciò si aggiunge anche il tema della qualità del lavoro svolto”. Si arriva così a svelare e a comprendere anche meglio i dati “falsi” sull’inattività, che spiegherebbero invece molto degli ‘umori’ sociali, delle istanze che non emergono, dei problemi che restano sotto traccia. “I dati congiunturali dell’Istat infatti- ha spiegato ancora Virgillito- hanno rilevato un calo della disoccupazione. Ma cosa vuol dire? Semplicemente che aumentano gli inattivi. Va guardato il tasso di occupazione, non quello della disoccupazione”, ha ricordato. “I numeri vanno letti sommando il calo di occupati di quasi 400mila e l’aumento di inattivi di circa 700mila. Più di un milione di persone si trova in uno stato peggiore rispetto a prima: o ha perso il lavoro, o ha smesso di cercarlo. La riduzione di donne su base congiunturale (variazione mensile) che cerca lavoro è stata di circa il 30,7% a fronte del 17,4% degli uomini. Ciò riflette che lo scoraggiamento è maggiormente diffuso tra i soggetti più vulnerabili. Il dato sulla diminuzione della disoccupazione è un artificio algebrico e non va considerato informativo. Si noti- ha spiegato la ricercatrice- come coloro che sono in cassa integrazione ordinaria sono considerati come occupati così come coloro che hanno lavorato almeno un’ora. Il calo di occupati si registra largamente nei contratti a termine e di nuovo mancano protezioni per la fascia più debole di chi lavora”.

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