Filippo La Mantia: «Non troviamo personale, ma non è vero che sfruttiamo i giovani»
Anche Filippo La Mantia interviene sulla polemica innescata qualche giorno fa da alcune dichiarazioni rilasciate da Alessandro Borghese. Chef Borghese ha puntato il dito contro i giovani che non vogliono più lavorare nella ristorazione. Il palermitano La Mantia ha raccontato di avere analoghe difficoltà a trovare personale.
Filippo La Mantia: «È vero, non si trova personale»
Filippo La Mantia ha dialogato con MOW sulla vicenda. In un’intervista con il magazine lifestyle, ha confermato di confrontarsi con problemi simili. «Ha ragione – ha detto – non si trova personale».
Quindi ha aggiunto: «Io stesso per aprire ho dovuto ricorrere a un’agenzia». Quando gli viene chiesto se è un problema di paghe troppo basse, replica: «No, è una minchiata. Bisogna smettere di dire che li sfruttiamo. Forse li hanno sfruttati a Londra o altrove all’estero».
Gli chef sono in cerca di collaboratori in tutta Italia, ma non ne trovano. Intervistato dal Corriere della Sera, Alessandro Borghese ha detto: «Sa che cosa è successo lo scorso weekend? Quattro defezioni tra i ragazzi della brigata, da gestire all’ultimo minuto, e nessuno disposto a sostituire. Così a cucinare siamo rimasti io e il mio braccio destro: 45 anni io, 47 lui».
«Sono alla perenne ricerca di collaboratori, ma fatico a trovare nuovi profili, sia per la cucina che per la sala: non posso non pormi delle domande», ha aggiunto lo chef Alessandro Borghese.
Sulle piattaforme di recruiting si moltiplicano gli annunci con le offerte, ma sono poche le risposte. Secondo i dati Fipe, c’è una carenza di quasi 120mila lavoratori a tempo indeterminato che, in un paio di anni, hanno deciso di cambiare lavoro. Il settore, dunque, vive un rischio concreto.
Anche il siciliano Pino Cuttaia, stellato del ristorante “La Madia” di Licata, ha parlato al Corriere della Sera: «Può darsi che la penuria di personale sia legata al cambiamento generazionale. Vero è, però, che gli istituti alberghieri non sempre formano e motivano come dovrebbero, con docenti che spesso sono neodiplomati. E noi chef che non siamo abbastanza sul campo, mentre dovremmo entrare nelle classi e fare promozione», dice Cuttaia.
«Passare il messaggio che quello del cuoco è un mestiere vocazionale: in cucina si diventa ambasciatori di un territorio, di una filiera, di una cultura che non ha uguali nel mondo. La nostra testimonianza può fare la differenza e salvare una professione artigianale, sottolineo artigianale, che è vitale per l’intera economia», conclude.
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