FOTO | Bologna mette sotto i raggi ‘x’ un antico testo azteco

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manoscritto azteco_università bologna

Il manoscritto azteco, noto come Codice Cospi, si trova a Bologna dal 1533. In passato era già stato studiato, ma ora ci sono tecniche all'avanguardia

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BOLOGNA – E’ uno dei pochissimi ‘libri’ aztechi esistenti al mondo. È conservato a Bologna, nella Biblioteca universitaria, e ora sarà sottoposto a un nuovo studio a raggi X per indagare nel dettaglio le tecniche di scrittura e di disegno usate dagli aztechi per realizzarlo. Saranno utilizzate “tecniche avanzate non invasive“, assicura l’Alma Mater di Bologna, per cercare di ricostruire in particolare la composizione dei colori con cui l’antico testo venne dipinto tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.

Il manoscritto divinatorio azteco, noto oggi come Codice Cospi, è uno dei rarissimi libri precolombiani (sono una dozzina in tutto al mondo) scampati ai danni del tempo e alla furia distruttrice di conquistatori ed evangelizzatori. Si pensa che il codice sia stato portato a Bologna dal domenicano spagnolo Domingo de Betanzos in occasione di un suo incontro con Papa Clemente VII, il 3 marzo 1533. Da allora il prezioso manoscritto è rimasto a Bologna, prima nella collezione di Ferdinando Cospi e all’Istituto dell’Accademia delle Scienze, fino ad arrivare alla attuale collocazione nella Biblioteca universitaria.

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ORA STUDIOSI POSSONO CONTARE SU NUOVI TIPI DI INDAGINE

Nel 2006 fu realizzata una prima serie di analisi, la prima al mondo nel suo genere per un manoscritto precolombiano. In seguito i ricercatori coinvolti (Davide Domenici, Antonio Sgamellotti, Costanza Miliani) analizzarono gran parte dei manoscritti precolombiani oggi esistenti conservati a Madrid, Londra, Liverpool, Oxford e in Vaticano. Dopo 15 anni, grazie allo sviluppo tecnologico, gli studiosi hanno ora a disposizione nuove tecniche di indagine per scoprire i segreti di questo antico codice.

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FOCUS SUI COLORI

“Verranno impiegate avanzate tecniche di imaging iperspettrale e fluorescenza– spiega Davide Domenici, docente dell’Università di Bologna che coordina l’iniziativa- per mappare la distribuzione dei materiali utilizzati, sia organici che inorganici, in tutte le pagine del codice. Questo ci permetterà di indagare con un dettaglio fino ad oggi impensabile le pratiche tecnologiche e pittoriche sviluppate dagli artisti precolombiani”. Per farlo sarà utilizzato uno scanner a raggi X, che permetterà di capire gli elementi chimici dei pigmenti usati e la loro distribuzione.

Il manoscritto sarà inoltre sottoposto a un metodo di analisi che permette di capire come la luce visibile viene assorbita, riflessa ed emessa. In questo modo sarà possibile, ad esempio, mappare l’impiego di coloranti organici come l’indaco, che veniva impiegato, insieme a specifiche argille, nella produzione del celebre Blu Maya. L’analisi sarà condotta attraverso una piattaforma chiamata ‘Molab’ realizzata da E-RIHS.it, il nodo italiano dell’infrastruttura di ricerca europea sull’Heritage Science, coinvolgendo anche studiosi dell’Università di Perugia e del Cnr. Lo studio è finanziato della Fondazione Carisbo.

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