Gli effetti del Covid all’inaugurazione dell’anno giudiziario

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PALERMO (ITALPRESS) – Anche la giustizia ha risentito dell’emergenza Covid. E’ probabilmente questo il dato più significativo che emerge dalla Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2020 pubblicata dal distretto della corte d’Appello di Palermo e letta dal presidente Matteo Frasca in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. Cifre e rinvii da record. Durante il lockdown, tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020, sono saltati oltre il 91% dei procedimenti civili e il 97% di quelli previsti in tribunale: “Il lockdown totale della giurisdizione è stato evitato solo perchè nel periodo di sospensione delle udienze i Magistrati hanno continuato a lavorare per la definizione dell’arretrato, in molti casi praticamente azzerandolo”, si legge nella relazione.
Gli effetti della pandemia si sono fatti sentire anche negli altri distretti della Sicilia, come è stato sottolineato dai presidenti delle Corti d’Appello.
“E’ ragionevole temere – sottolinea Frasca nel documento – che questo rallentamento comporterà una significativa battuta d’arresto nel difficile percorso di recupero di efficienza del settore della giurisdizione civile che nell’ultimo decennio, lentamente ma costantemente, ha determinato una progressiva diminuzione della pendenza complessiva e soprattutto, attraverso l’applicazione ponderata di criteri di produttività selettiva, la riduzione del contenzioso più datato”.
Tra le questioni analizzate con particolare attenzione nella relazione anche quella relativa alla mafia: “L’associazione mafiosa Cosa nostra continua ad esercitare il suo diffuso, penetrante e violento controllo sulle attività economiche, imprenditoriali e sociali del territorio – viene sottolineato nella relazione -. Permane, inoltre, una situazione ‘palermocentricà, nell’ambito della quale i mandamenti mafiosi più potenti sono ancora quelli di Pagliarelli, Porta Nuova, Ciaculli – Brancaccio e Villagrazia – Santa Maria di Gesù”.
Problematici gli aspetti che in tal senso riguardano l’usura con i reati in crescita di oltre il 57%, dopo il calo del 28% registrato lo scorso anno. “Nonostante si siano levate delle voci contrarie all’interno di cosa nostra, le estorsioni, che costituiscono la tipologia di reato che dà luogo al numero maggiore di misure cautelari nei confronti di ‘uomini d’onorè, continuano ad essere la classica attività delle famiglie mafiose – si legge nella relazione -. Nel mese di aprile del 2020, e quindi nel pieno della pandemia da Covid-19, emergeva che un pregiudicato per reati di criminalità comune, fratello di altro pregiudicato per il reato di cui all’articolo 416 bis del codice penale, si spendeva per la consegna di generi alimentari ad alcuni nuclei familiari indigenti del quartiere Zen di Palermo. E’ plausibile dunque che, sfruttando il momento di crisi economica e sanitaria, egli si sia prodigato, mediante le condotte suindicate, per ricercare un certo grado di consenso sociale”.
Da non sottovalutare, da quello che emerge nella relazione, anche il lavoro svolto per cercare di individuare il boss latitante Mattia Messina Denaro, che all’interno della sua ‘famiglià vanta un elevato numero di soggetti che “hanno ricoperto e ricoprono tuttora ruoli di assoluto rilievo all’interno dell’intera provincia mafiosa trapanese”. “L’azione investigativa portata avanti dalle diverse forze di polizia sotto il coordinamento della D.D.A., finalizzata a localizzare il Messina Denaro e a disarticolare il reticolo di protezione che gli consente tuttora di sfuggire alla cattura e ‘governarè il territorio trapanese, ha prodotto nell’anno diversi arresti, anche vicinissimi al contesto relazionale del latitante”, evidenzia la relazione.
Capitolo a parte viene dedicato alle nuove mafie che, al momento, non sembrano avere relazioni dirette con cosa nostra ma la situazione potrebbe essere in evoluzione. Si tratta di organizzazioni di tipo mafioso su base etnica, con particolare riferimento a quelle nigeriane, “radicate in alcuni quartieri storici di Palermo, dedite soprattutto allo spaccio di stupefacenti e capaci di atti di brutale violenza nei confronti dei loro connazionali”. Nessun legame con la mafia, ma nemmeno nessun “episodio di violenza o di insofferenza ragionevolmente ascrivibile ad una situazione di conflittualità, anzi è emersa nel corso delle indagini una direttiva da parte di cosa nostra di “trattare bene” nelle carceri i cittadini nigeriani”.
Infine un grido di allarme che parte dai dati ma che colpisce per la giovane età dei protagonisti: i ragazzini a 12 anni sono già abituati a fumare eroina: “I giovani di 16-17 anni che arrivano al procedimento penale fanno spesso un uso variegato di sostanze da diversi anni, con risvolti che rasentano le patologie psichiatriche laddove non slatentizzano disturbi comportamentali lievi che con l’uso della droga vengono amplificati, manifestandosi apertamente”.
(ITALPRESS).

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