I Campi Flegrei, un laboratorio naturale per studiare le caldere vulcaniche
di Emanuela Bagnato
Negli ultimi decenni, una delle principali sfide della vulcanologia è stata quella di indagare sui potenziali fattori responsabili delle crisi di “unrest” vulcanico che interessano da tempo la caldera dei Campi Flegrei, a ovest della città di Napoli.
Quando parliamo di “unrest”, ci riferiamo ad una situazione di “agitazione” che include cambiamenti significativi nella sismicità, nella deformazione del suolo e nel degassamento di un’area vulcanica che si trova in uno stato di quiescenza.
La caldera dei Campi Flegrei (Figura 1) rappresenta uno tra i sistemi vulcanici a più alto rischio al mondo. Popolata da più di mezzo milione di persone, a partire dalla metà del XX secolo quest’area è stata soggetta a diversi cicli di sollevamento ed abbassamento del suolo associati a sciami sismici, noti con il nome di bradisismi.
Gli episodi più recenti di sollevamento prima di quello attuale, sono stati registrati nel 1969-1972 e 1982-1984, quando molti abitanti della zona, soprattutto coloro che risiedevano nel centro storico di Pozzuoli, furono evacuati a causa di un’attività sismica persistente e molto superficiale. Raggiunto il culmine del sollevamento nel 1984, a partire dal 1985 è iniziata una lenta fase di subsidenza, durante la quale il livello del suolo è tornato a scendere.
Dal 2005, la caldera dei Campi Flegrei sta attraversando una nuova fase di sollevamento con una tendenza in accelerazione. Da gennaio 2016 ad oggi il sollevamento nell’area di massima deformazione ha raggiunto circa 44.5 cm, come riportato nel bollettino di sorveglianza relativo al mese di marzo 2021, disponibile sul sito dell’INGV-OV. Tale sollevamento è stato accompagnato da frequente sismicità superficiale di bassa energia, parte della quale sembrerebbe causata dalla pressione esercitata dal processo di trasferimento di fluidi profondi (gas ad alte temperature e pressioni) all’interno della crosta terrestre.
Al contempo, sono state osservate importanti variazioni nella composizione chimica delle fumarole principali ed un aumento del flusso di anidride carbonica (CO2) diffuso dal suolo al cratere della Solfatara di Pozzuoli (Figura 2) e nell’adiacente area fumarolizzata di Pisciarelli, le zone attualmente più attive dei Campi Flegrei.
Studiando l’evoluzione dei diversi parametri geofisici e geochimici, è stato possibile ipotizzare il funzionamento del sistema vulcanico dei Campi Flegrei nel corso degli episodi di “unrest”, attraverso quello che in termini tecnici si chiama modello concettuale (Figura 3).
Il modello della Solfatara
Il sistema che alimenta le fumarole della Solfatara consiste in una zona di accumulo di gas magmatico situato in profondità, che fornisce fluidi e calore ad un serbatoio idrotermale più superficiale (circa 2 km). Questa sorgente profonda di gas magmatici potrebbe coincidere con la sorgente che causa la deformazione del suolo, ad una profondità di circa 4 km. All’interno del serbatoio idrotermale più superficiale, i gas magmatici si mescolano con l’acqua di origine meteorica, causandone la vaporizzazione. Si forma in questo modo un “pennacchio” o “plume” di gas che risale al di sotto della Solfatara, costituito da zone prevalentemente di gas e zone di gas e liquido (Figura 3). Nella zona più superficiale del sistema, a profondità di 200-400 m e a temperature di circa 200-240°C, le specie gassose maggiormente reattive (l’idrogeno, H2 e il monossido di carbonio, CO) si riequilibrano chimicamente in una fase di vapore puro (Figura 3). La temperatura della parte più profonda di questo sistema idrotermale è stata stimata intorno ai 360 °C.
Queste osservazioni teoriche, unitamente ai dati della composizione isotopica dell’ossigeno presente nelle due specie dominanti (acqua e anidride carbonica, CO2), confermano che le manifestazioni gassose presenti sulla superficie della Solfatara non sono direttamente rilasciate dal magma, come avviene in molti sistemi vulcanici attivi. Sono invece originate dalla miscela tra i fluidi degassati da un corpo magmatico profondo e quelli generati dalla vaporizzazione di liquidi idrotermali di origine meteorica.
Da questa premessa si evince che i sistemi vulcanici come quelli dei Campi Flegrei sono tra i più complessi da studiare ma, allo stesso tempo, rappresentano un importante laboratorio naturale a cielo aperto per la ricerca sulle caldere vulcaniche.
Cosa ci dice il monitoraggio dei Campi Flegrei?
L’area Flegrea viene costantemente monitorata dall’Osservatorio Vesuviano (OV), Sezione di Napoli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), che da anni svolge, nell’ambito della convenzione con il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile (DPC), la sorveglianza dello stato di attività della caldera flegrea e dei vulcani campani, in generale.
Il meticoloso e costante programma di monitoraggio geochimico ha permesso, a oggi, di disporre di una lunga serie temporale di dati, unica nel suo genere a scala globale, che copre più di 30 anni di misure all’interno del cratere della Solfatara.
Queste osservazioni, insieme a specifiche simulazioni numeriche (Figura 4), fanno ipotizzare che gli episodi di iniezione di fluidi magmatici profondi nel sistema idrotermale più superficiale, abbiano un ruolo centrale nelle crisi di ‘unrest’ vulcanico che hanno interessato e tuttora interessano la caldera dei Campi Flegrei. Rilasci improvvisi di fluidi ricchi in CO2 dal magma in profondità causano aumenti repentini nella pressione e nella temperatura del plume idrotermale al di sotto della Solfatara e l’incremento nella concentrazione di CO2 delle fumarole.
Il ruolo centrale dei fluidi nella genesi degli episodi di ‘unrest’ è stato inoltre supportato dall’elevato rilascio di energia associato al processo di degassamento, che alla Solfatara è stato stimato essere di circa 100 megawatt (corrispondente a circa 5000 tonnellate al giorno di fluidi). Questa stima rappresenta la principale componente nel bilancio energetico dell’intero sistema vulcanico flegreo, ed è circa 10 volte maggiore del flusso di calore rilasciato per conduzione dall’intera caldera.
L’analisi dei dati geochimici disponibili ha evidenziato una marcata variazione della composizione chimica delle fumarole a partire dal 1983, che ha permesso di individuare due periodi ben distinti: il primo dal 1983 al 2000 ed il secondo dal 2000 ad oggi (Figura 4).
Nel dettaglio, dal 1983 fino al 2000, il rapporto CO2/H2O nelle fumarole ha mostrato picchi che hanno sistematicamente seguito gli eventi bradisismici (quelli del 1983-1985 e due eventi minori nel 1989 e nel 1996) e che sono stati interpretati come la manifestazione superficiale di iniezioni di gas magmatici nel sistema idrotermale che alimenta le fumarole (Figura 4).
Dopo il 2000, il comportamento del sistema è cambiato:
- il rapporto CO2/H2O delle fumarole della Solfatara ha iniziato un lento processo di crescita tuttora in corso (Figura 5);
- il pattern di degassamento diffuso dal suolo che interessa l’area è cambiato;
- gli sciami dei terremoti di debole magnitudo sono diventati più frequenti;
- il processo di subsidenza è dapprima diminuito per poi essere sostituito, a partire dal 2005, da un processo di sollevamento, caratterizzato da basse velocità che stanno aumentando nel tempo.
Il riscaldamento del sistema idrotermale
Recenti studi hanno messo in evidenza l’importanza del processo di condensazione del vapore nel sistema idrotermale, in risposta ad un aumento del flusso dei fluidi magmatici (e quindi della pressione) nonché allo stato termico del sistema, che può influenzare il rapporto CO2/H2O misurato nelle fumarole della Solfatara.
Inoltre, parte dell’incremento di tale rapporto osservato alle fumarole è possibile che sia dovuto all’apporto di CO2 non magmatica, prodotta da reazioni che coinvolgono la calcite presente nelle rocce che ospitano il sistema idrotermale: l’aumento della temperatura del sistema porterebbe alla dissoluzione della calcite liberando nuova CO2.
La fenomenologia in corso è stata interpretata come dovuta, almeno in parte, a ripetuti episodi di iniezione di fluidi magmatici nel sistema idrotermale con una frequenza di accadimento che sta aumentando nel tempo. Picchi positivi del rapporto CO2/CH4 (Figura 6) indicano input di fluidi magmatici ad alta temperatura, ossidanti, ricchi in CO2 e poveri in metano (CH4).
In Figura 6 è possibile riconoscere un aumento del rapporto CO2/CH4 a partire dal 2000, interrotto dalla fase discendente iniziata nel 2018 che caratterizza gli ultimi anni. Il persistere di questo valore basso del rapporto CO2/CH4 (ovvero elevate concentrazioni di CH4) contemporaneamente all’aumento della concentrazione del monossido di carbonio (Figura 7) e dell’idrogeno, evidenzia una variazione del comportamento del sistema idrotermale in risposta all’iniezione di fluidi magmatici, rispetto a quanto mostrato nei periodi precedenti.
Differenti processi possono essere considerati responsabili delle variazioni osservate, ma al momento non è possibile fornire un’interpretazione univoca.
L’analisi dei geoindicatori gassosi basati sulla composizione dei fluidi fumarolici mostra un significativo aumento nel tempo della temperatura e della pressione delle parti più superficiali del sistema idrotermale. Queste stime, basate principalmente sulle concentrazioni relative di monossido di carbonio (CO), specie più sensibile alla temperatura, mostrano a partire dal 2000 un trend di aumento particolarmente marcato a partire dai campioni del 2018 (Figura 7), che sembra però rallentare negli ultimi mesi (pur permanendo su range di valori elevati). Tale andamento, corrisponderebbe ad un aumento di temperatura di circa 45 °C dagli inizi degli anni 2000 (T circa 215 °C) a oggi (T circa 260°C).
Questo processo di riscaldamento e pressurizzazione del sistema idrotermale della Solfatara è inoltre confermato da un trend in aumento, a partire dal 2006, dei valori del flusso di CO2 dal suolo e della temperatura del suolo. Questi parametri vengono misurati periodicamente su circa 60 punti fissi ubicati all’interno del cratere, per il monitoraggio geochimico dell’INGV-OV (Figura 8). La media delle temperature del suolo, misurate a 10 cm di profondità, mostra un incremento del valore medio delle temperature misurate di oltre 6 °C nel periodo 2002-2020, che interessa diffusamente tutta l’area craterica con un massimo nella zona centrale.
Le misure periodiche di flusso di CO2 dal suolo, sono state confrontate con i dati del flusso totale emesso dall’intera area di degassamento rappresentata nella Figura 8. Il flusso totale è stato stimato dalle misure condotte fino al 2016 da colleghi dell’Università di Perugia.
Combinando i dati del monitoraggio geochimico con queste ulteriori misure è stato possibile stimare un valore medio del flusso di CO2 dal suolo per l’intera area di degassamento dal cratere della Solfatara di circa 3200 tonnellate al giorno. Questo valore è paragonabile al flusso medio di CO2 emesso da vulcani a condotto aperto che si trovano in uno stato di degassamento persistente (Figura 8).
Il processo di riscaldamento del sistema idrotermale è stato evidenziato anche dalle misure effettuate nell’area fumarolica di Pisciarelli, un’importante sito di degassamento che confina a est con il cratere della Solfatara, in località Agnano (Figura 9).
Tale riscaldamento, iniziato a partire dal 2007 e tuttora in corso, è presumibilmente la causa delle variazioni del processo di degassamento che si sono osservate in quest’area. Negli ultimi anni, infatti, si è potuto assistere all’apertura di nuove bocche fumaroliche e di polle di fango gorgoglianti (Figura 9), accompagnate da attività sismica localizzata, aumento della temperatura della fumarola principale e aumento dei flussi di CO2 dal suolo misurati in continuo dalla stazione di monitoraggio geochimico dell’INGV-OV.
Sempre a Pisciarelli, l’aumento del degassamento è stato inoltre correlato alla concentrazione di CO2 in aria e alle misure del tremore fumarolico generato dall’attività fumarolica, tramite la stazione sismica CPIS installata sul posto dall’INGV-OV. Questi parametri hanno mostrato un trend di aumento già a partire dal 2013.
Per una più approfondita comprensione della fenomenologia in corso ai Campi Flegrei e per continui aggiornamenti sullo stato di attività del sistema, si rimanda al sito dell’Osservatorio Vesuviano (https://www.ov.ingv.it), dove vengono pubblicati regolarmente i bollettini settimanali e mensili, ed ai lavori scientifici riportati di seguito in bibliografia.
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