I crostacei possono frammentare le microplastiche in appena quattro giorni, rendendole ancora più pericolose
Le microplastiche presenti nei nostri oceani e mari possono essere facilmente frammentate ad opera di piccoli crostacei, che in soli quattro giorni sono in grado di ridurle in pezzi più piccoli di una cellula.
La scoperta è inaspettata e sconcertante, poiché gli effetti negativi della plastica aumentano al diminuire della dimensione delle particelle.
Fino a oggi sapevamo che la frammentazione della plastica presente nelle acque marine dipende in grande misura dall’azione dei raggi solari e delle onde, in un processo lento che può richiedere diversi decenni.
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Ora uno studio portato avanti dai ricercatori dell’University College di Cork in Irlanda e pubblicato su Scientific Reports, ha dimostrato la capacità di un crostaceo di frammentare le microplastiche nell’arco di sole 96 ore.
Gli scienziati, studiando il Gammarus duebeni, hanno scoperto che questo anfipode ingerisce microplastiche trasformandole rapidamente in nanoplastiche, talmente piccole da riuscire a oltrepassare le membrane cellulari e dunque molto più dannose per la fauna selvatica e non solo.
“Abbiamo visto che gli anfipodi ingeriscono queste particelle di plastica, macinandole con le mandibole mentre le mangiano e le trasmettono all’apparato digerente, ma non capiamo ancora come questi animali rompano la plastica. Dobbiamo studiare il meccanismo reale di questa frammentazione biologica “, ha spiegato la Dott.ssa Alicia Mateos-Cárdenas, principale autrice della ricerca.
“Se le nanoplastiche possono attraversare le membrane delle cellule, potrebbero accumularsi in animali e piante con potenziali effetti negativi sconosciuti, quindi il problema dell’inquinamento da plastica diventa molto più complesso e più preoccupante”, ha continuato Mateos-Cárdenas.
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Il Gammarus duebeni, inoltre, è solo una delle oltre 200 specie di Gammarus presenti in tutto il mondo nelle acque dolci e salate, tutte irrimediabilmente inquinate da plastica, dunque questa ricerca potrebbe avere implicazioni a livello globale.
“Questo aggiunge sicuramente un ulteriore livello alla nostra comprensione del destino della plastica nell’ambiente.
Una volta che la plastica raggiunge fiumi e oceani, non sappiamo davvero cosa succede loro. Se gli animali li ingeriscono e li frammentano, il problema è amplificato.” ha affermato Mateos-Cárdenas.
Le nanoplastiche potrebbero dunque accumularsi nei crostacei, nei loro predatori, in altri animali e anche nelle piante e potenzialmente anche nell’uomo e potrebbero anche essere un veicolo per altre sostanze tossiche o potenzialmente pericolose presenti nelle acque e trasportate sulla loro superficie, con conseguenze ancora sconosciute per la nostra salute.
Fonte di riferimento: Nature
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