Il ragazzino pakistano che da solo ha lottato contro la schiavitù infantile riuscendo a liberare migliaia di bambini dallo sfruttamento

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Sembra impossibile immaginare che la schiavitù minorile esista ancora. Lo si pensa come un problema di altri tempi, o almeno così vorremmo che fosse. Purtroppo però è una terribile e vergognosa realtà che colpisce più di 160 milioni di bambini e bambine nel mondo.

Il 16 aprile è la Giornata mondiale contro la schiavitù minorile, data stabilita in commemorazione dell’omicidio di Iqbal Masih, assassinato a 12 anni mentre tornava a casa in bicicletta. La sua voce di denuncia contro lo sfruttamento schiavistico di milioni di bambini e la sua lotta per rivendicare i loro diritti era diventata troppo scomoda per le mafie tessili del Pakistan.

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Schiavo a 4 anni

A soli 4 anni, il piccolo Iqbal fu venduto dal padre a una fabbrica di tappeti nel Punjab perché alla sua famiglia servivano i soldi per pagare il matrimonio del figlio maggiore. Così, invece di giocare, fu costretto a lavorare insieme ad altri bambini per più di dodici ore al giorno. Dodici. Privato di ogni libertà e spesso incatenato al suo telaio, subì continui maltrattamenti e al minimo tentativo di ribellione, una severa punizione.

Il giorno della libertà

All’età di 10 anni, la vita di Iqbal cambiò radicalmente. Lui e altri bambini riuscirono a fuggire della fabbrica per partecipare a una celebrazione del giorno della libertà organizzata dal Bonded Labour Liberation Front (BLLF). Per la prima volta sentì parlare di diritti, libertà e sfruttamento. In un discorso improvvisato ed eloquente raccontò la sua sofferenza e quella degli altri che come lui vivevano in condizioni di schiavitù. La sua storia ebbe eco e fu stampata sui giornali locali.

Decise di non tornare più in quella fabbrica e con l’aiuto di un avvocato della BLLF, ottenne la libertà. Non solo, il “proprietario” di Iqbal, Hussain Khan, fu condannato e la sua fabbrica chiusa. La prima di tante. Da quel momento libero, divenne un giovane attivista per i diritti dei bambini vittime della schiavitù riuscendo a chiudere le aziende in cui i minori venivano sfruttati.

Assassinato per difendere i suoi diritti

Dicono che fosse un grande oratore e uno studente brillante ed energico. Sognava di diventare un avvocato per continuare a lottare per la libertà dei bambini pakistani ridotti in schiavitù. Il suo esempio e la sua lotta oltrepassarono i confini. Ricevette premi internazionali che usò per aprire una scuola. Il suo attivismo ha migliorato le condizioni di vita di molti bambini e bambine ai quali, come a lui, era stata strappata l’infanzia.

Purtroppo aver alzato la voce gli è costato la vita. Le cause della sua morte non sono mai state chiarite, alcuni dicono che sia stato un incidente, ma sono in pochi a crederci. Per la maggioranza, fu assassinato miseramente per aver difeso quello che gli era dovuto, da chi, invece di proteggerlo, l’ha ammazzato.

La schiavitù minorile ancora esiste. Questi bambini e bambine esistono, anche se sembrano essere invisibili. Magari non fanno tappeti, eseguono lavori domestici o sono nascosti dietro i muri delle fabbriche o nelle piantagioni. Non possiamo ignorare questa terribile realtà che colpisce milioni di minori nel mondo. Ecco perché è importante che ognuno di noi alzi la voce per denunciare questa situazione. Abbiamo l’obbligo di ribellarci.

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Fonte: Socmedarc / World’s Children Prize

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