Il razzismo “esiste anche in Italia, non solo negli Usa”

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Tolomelli (Cefa): "Giusto inginocchiarsi per George Floyd, ma abbiamo casi anche qui" Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

ROMA – Un messaggio antirazzista e l’idea di apertura, di comunità. Tutto nella massima sicurezza. Siamo al Pilastro, periferia di Bologna: è qui che la Onlus Cefa ha organizzato una serata evento, culminata nel concerto dell’ex Modena City Ramblers, Cisco, che ha fatto registrare il più classico tutto esaurito. Cefa è un’organizzazione non governativa che da 45 anni aiuta le comunità in Africa e America Latina a vincere fame e povertà attraverso l’agricoltura, l’istruzione e il lavoro.

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Serata da tutto esaurito, biglietti venduti in poche ore, per un concerto in cui il pubblico ha cantato e ballato, dove possibile, rispettando rigorosamente distanze e indicazioni anti-coronavirus. “Il concerto di stasera fa parte di una iniziativa cofinanziata dalla Regione Emilia Romagna, insieme a Cefa e Mcl che si chiama ‘Tandem per l’integrazione’– spiega Andrea Tolomelli, Responsabile progetti Area Mediterraneo di Cefa, all’agenzia Dire- e l’idea è lavorare finché si possa in qualche maniera togliere quella patina di razzismo che continua a esserci nella società italiana. L’idea del concerto di Cisco è nata perché lui canta costantemente canzoni contro il razzismo, e l’idea è soprattutto immaginarsi che è giustissimo inginocchiarsi per George Floyd, ma le situazioni di razzismo che abbiamo in Italia sono costanti, quotidiane, e Aboubakar Soumahoro ce l’ha dimostrato. Il concerto nasce per dare un grido contro il razzismo, per raccontare che il razzismo in Italia esiste anche se ci immaginiamo che sia solo una cosa statunitense”.

Sul perché della scelta di Cisco, il rappresentante di Cefa spiega: “Con Cisco non è la prima volta che collaboriamo. Ci siamo già incontrati in altre occasioni. Le sue canzoni raccontano quello che noi vorremmo esprimere, come l’idea di tolleranza, razzismo e società aperta”.

Importante, poi, essere riusciti a portare tanta gente alla location scelta per il concerto: “Volevamo unire le due cose- continua- Il messaggio antirazzista al fatto che dobbiamo avere un’idea di apertura, di comunità, nella massima sicurezza“. Ha sottolineato, poi, l’importanza di “vivere in comunità, socialità, che non deve essere messa a rischio”. Organizzare un concerto significa anche dare un aiuto all’industria della musica, “formata da persone che lavorano quotidianamente. Il pubblico ha dato una grande risposta, c’è voglia delle persone di ascoltare musica dal vivo. È prevista anche una raccolta fondi. In alcuni paesi dove lavoriamo c’è un’emergenza enorme. In altri paesi i dati sono incerti. L’idea è quella di aiutare società di paesi terzi a crescere nonostante il covid-19″.

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(DIRE) Roma, 19 giu. - "Sentiamo parlare da tutte le parti del movimento Black Lives Matter. Ma in Kenya dobbiamo fare una seria riflessione: le ragazze e le donne dalla pelle scura sono trattate in modo diverso. Dobbiamo lavorare due volte più duramente, essere due volte più intelligenti per poter progredire nei nostri rispettivi ambiti. Perché la formula prevede: pelle chiara uguale bellezza, uguale opportunità, uguale lavoro, uguale benessere, uguale buon matrimonio". Così denuncia in un post su Instagram Yvonne Okwara, conduttrice televisiva per l'emittente kenyana Citizen Tv. La giornalista contesta il fatto che in Kenya, per ottenere un posto di lavoro, è necessario avere la pelle più chiara rispetto alla media, in quanto i datori di lavoro e l'industria dei media prediligono donne più vicine agli standard occidentali. La presentatrice dunque ironizza sul fatto che, mentre anche in Africa si ribadisce il sostegno al movimento statunitense Black Lives Matter per i diritti delle persone di origine africana, proprio in una nazione come il Kenya persone di carnagione scura subiscano discriminazioni. Okwara ammette che persino lei ha subito pressioni dal canale tv: avendo la pelle più scura delle colleghe, racconta, "ci si aspettava che fossi più intelligente e brava delle altre perché, non avendo il look giusto, avrei dovuto compensare con il cervello". Secondo Okwara, questo tipo di messaggio veicolato dall'industria dei media finisce per influenzare le giovani, spingendole a non accettare il proprio aspetto e a compiere sforzi per adeguarsi a standard lontani da loro. Tutto questo alimenta anche l'industria della cosmesi, che propone una quantità di prodotti per schiarire la pelle o "domare" i capelli afro, per poterli acconciare all'occidentale. Su quest'ultimo punto è forte il dibattito in Africa: da più parti da tempo si denuncia il messaggio razzista e sessista sotteso a questi prodotti di bellezza. Ne sono nati anche vari movimenti di donne che hanno iniziato a promuovere il modello "afro", esortando i giovani ad accettare e valorizzare i tratti naturali del proprio aspetto, anche nell'ottica di recuperare appartenenza e identità culturale.

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