In Brasile è in corso un genocidio: le tribù indigene stanno per essere cancellate dal coronavirus
I popoli indigeni del Brasile stanno morendo a un ritmo allarmante per il coronavirus. Il tasso di mortalità è il doppio nelle comunità indigene rispetto al resto del Paese.
Quello che si sta consumando in Brasile è un vero e proprio genocidio contro le tribù indigene. Troppo lontane dagli ospedali e senza mezzi di sostentamento, le comunità stanno morendo per colpa della pandemia di coronavirus, sotto gli occhi di un governo totalmente passivo.
Il Brasile è il secondo paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, per contagi di Covid-19, con quasi 350mila persone positive e il sesto con il maggior numero di deceduti, oltre 22mila. Lo abbiamo raccontato tante volte, chi sta soffrendo di più in questa situazione sono le tribù che vivono nella foresta pluviale e nelle zone più remote del Brasile dove non ci sono ospedali e dove le comunità sono del tutto impreparate alle malattie. L’ atteggiamento passivo del governo di Jair Bolsonaro nei confronti della pandemia sta prendendo il sopravvento sui più deboli. Secondo il sindaco di Manaus, la capitale dello stato di Amazonas, il ‘genocidio delle tribù è un crimine verso l’umanità’.
“Stiamo morendo da soli”, avevano gridato qualche giorno fa i membri del popolo Kokama che chiedevano alle autorità non solo risposte più efficaci sul versante dei servizi sanitari, ma anche il rispetto della loro identità e dei loro affetti nel momento della morte.
E così le tribù indigene già messe a dura prova per la deforestazione, gli incendi, le invasioni, adesso hanno un nemico in più il coronavirus portato proprio dai taglialegna. Molti sono scappati nella foresta per evitare il contagio, ma si ritrovano senza beni di prima necessità. “La situazione è piuttosto complicata”, ha detto a Efe Paulo Tupiniquim, uno dei coordinatori dell’Associazione degli indigeni del Brasile.
Sempre secondo l’agenzia Efe, nello stato di Amazonas il tasso di incidenza di Covid-19 è quattro volte la media nazionale e solo nella capitale, Manaus, ci sono letti di terapia intensiva per gli oltre 60 comuni. E secondo il gruppo di difesa per il coordinamento dei popoli indigeni del Brasile (APIB), il tasso di mortalità nelle comunità indigene è il doppio rispetto al resto del nazione.
“Qui le cure ospedaliere non esistono, i centri non hanno strutture per assistere gli indigeni”, ha affermato il presidente della Federazione indigena di Kokama, Glades Kokama Rodrigues Ramires. “A Tabatinga esiste un solo ospedale militare, stiamo attraversando un momento molto difficile”.
L’APIB ha registrato oltre 980 casi confermati di coronavirus e almeno 125 decessi, il che suggerisce un tasso di mortalità del 12,6 percento, rispetto al tasso nazionale del 6,4 percento. Mentre il Segretariato speciale per la salute degli indigeni del Ministero della Sanità ha segnalato solo 695 casi nelle comunità indigene e 34 morti.
“Le nostre comunità vivono spesso in regioni remote e inospitali senza accesso o infrastruttura”. ha affermato Dinaman Tuxa, coordinatore esecutivo di APIB e membro del popolo Tuxa nel nord-est del Brasile.
Lo stesso leader del popolo Kokama si è spesso lamentato del poco sostegno ricevuto dal governo di Jair Bolsonaro, accusandolo di ‘mancanza di rispetto verso la sua comunità e gli indigeni del paese’.
Questa settimana, la Fondazione Oswaldo Cruz (Fiocruz) collegata al Ministero della Salute di Brasile, in un nuovo rapporto ha denunciato che più di 7,8 milioni di brasiliani sono ad almeno quattro ore di distanza da una città in cui sono disponibili cure sanitarie di elevata complessità, come un’unità di terapia intensiva, attrezzature adeguate e personale specializzato in malattie respiratorie acute e acute.
Fonti: La vanguardia/CNN/EFE/Fondazione Oswaldo Cruz
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