Lo psicologo: “Nella Divina Commedia c’è la storia di tutti”
- Rachele Bombace
- 25/03/2020
- Cultura
- r.bombace@agenziadire.com
Widmann: "Narra l'abisso dell'inconscio, il Regno dell'Io e la Sfera del Sé" Condividi su facebook Condividi su twitter Condividi su whatsapp Condividi su email Condividi su print
ROMA – “La Divina Commedia è la descrizione più completa del percorso di individuazione. Dietro la narrazione fittizia dell’anima di un viandante che compie una redenzione spirituale, un viaggio nell’aldilà, in realtà c’è il percorso di un’anima in evoluzione e di un viaggio nell’inconscio (aldilà della coscienza). È un viaggio trasmutativo, in cui il protagonista parte da situazioni infere, buie, cupe, travagliate e sofferte, per approdare a situazioni metaforicamente paradisiache, di leggerezza, luce e visione cosmica. Lo stesso Dante, durante la stesura della Divina Commedia, subirà una profonda trasformazione personale”. A parlarne all’Agenzia Dire, in occasione della prima edizione del Dantedi’, è Claudio Widmann, analista junghiano di Ravenna e autore del libro ‘La Commedia di Dante come percorso di vita’, di cui si attende la pubblicazione dalla casa editrice Magi.
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“Il sommo poeta decise di scrivere la Divina Commedia nel corso dell’elaborazione del lutto per la morte di Beatrice. La svolta esistenziale arriva non tanto dall’esilio, ma dalla sua prima condanna a morte. In quel momento comincia a revisionare la sua vita, le sue concezioni, e scrive questa grande narrazione simbolica che si sviluppa parallelamente al suo percorso esistenziale e interiore. È quantomeno singolare, e per certi versi commovente, che nell’estate del 1321 lui porti a termine la Divina Commedia, in cui si rispecchia la sua evoluzione di vita, e poi nel settembre del 1321 muoia. Come se la scrittura della Divina Commedia fosse la narrazione della sua evoluzione interiore- sottolinea lo studioso- e, arrivando a compimento il libro, termina anche la sua vita”. (DIRE) Roma, 25 mar. – La Divina Commedia è una grande narrazione simbolica. “Non racconta solo l’esperienza trasformativa di Dante. Ha la capacità di raccontare l’esperienza trasformativa di ciascuno di noi. La condanna a morte ha rappresentato per il poeta un’enorme esperienza di smarrimento- continua l’analista junghiano- ma tutti noi viviamo esperienze di smarrimento, anche molto acute, che possono rappresentare però dei momenti di svolta”. Dopo lo smarrimento, Dante fa i conti con le spinte interne, quali l’inedia, l’indolenza, il non prendere posizione, il temporeggiare, la voglia di vendetta, i desideri bellicosi e aggressivi, l’imbroglio e il tradimento (soprattutto quello di noi stessi). “Sono stati animo ben descritti nel Cerchio degli ignavi- ricorda Widmann- e, proprio come Dante, anche noi abbiamo conosciuto momenti in cui ci saremmo lasciati cadere in quelle spinte ostili che rischiano di renderci mostruosi”. Nell’Inferno il poeta si confronta con una dimensione in cui rischia di essere trascinato, sommerso e travolto in modo inconsapevole dalle varie spinte interne. “Il viaggio nell’Inferno è un viaggio nell’abisso dell’inconscio, è un viaggio doloroso, dove le cose ci possiedono senza che neanche ce ne rendiamo conto. Nell’Inferno Dante opera un capovolgimento- spiega l’analista- si rovescia fisicamente e simbolicamente, cambia prospettiva. Da quel momento la discesa diventa la salita sul Monte Purgatorio. Si confronta di nuovo con il narcisismo, l’invidia, la distruttività, l’indolenza, la passività, la dipendenza, ma in una forma più consapevole- precisa lo studioso- perché lo fa con gli strumenti dell’Io. In questo senso il Purgatorio è il regno della verticalità dell’Io, è la dimensione psichica dove l’Io ha il governo sulle cose interiori”.
Se nell’Inferno l’autore avverte una sofferenza molto acuta, “nel Purgatorio mette maggiormente in risalto la fatica, perché è maggiore lo sforzo richiesto all’Io nel gestire con consapevolezza i contrasti interni”. Con la conoscenza e la coscienza, “Dante apprende a rifuggire da qualunque unilateralità, sia quella della generosità che dell’egoismo ad esempio”. In questa concezone, quindi, il Purgatorio “è una grande celebrazione delle antinomie, nel quale Dante cerca di tenere insieme aspetti contraddittori tra di loro, come la tenerezza e la fermezza, l’ira mala e l’ira sana”. Dante evolve. “Dopo che l’Io ha imparato la solidità, a non essere trascinato dalle pulsioni, a non essere unilaterale, ad andare oltre le proprie preferenze e le proprie inclinazioni, il poeta sale nei cieli. Il Paradiso è la sfera del Sé- continua Widmann- se da un lato i cieli sono sferici, dall’altro Dante accede a quelle dimensioni della psiche di maggiore rotondità, in cui le cose sono più smussate, integrate e levigate. La sfera non ha spigoli, né alto né basso, è il luogo dove non ci sono alternanze, è il luogo della completezza”. A differenza dell’immagine stereotipata ed edulcorata che “abbiamo del Paradiso dove tutto è luce, bontà, felicità, bellezza e perfezione- precisa lo psicoanalista di Ravenna- Dante descrive un Paradiso come completezza, che accoglie anche quegli spiriti che sono venuti meno ai loro voti. Un cielo più sopra ci sono gli spiriti che hanno realizzato grandi cose proprio attraverso i loro aspetti ombra. Come il desiderio di fama che fa parlare Giustiniano nel Cielo di Mercurio”. C’è pure Cunizza da Romano, “che ha avuto diversi mariti e amanti- racconta Widmann- ma a differenza di Francesca (dell’Inferno) non si è avviluppata dentro la passione amorosa. Quella passionalità è diventata il gradino per accedere a forme d’amore più spiritualizzato, filantropico, elevato e meno passionale. Forme più raffinate di una stessa pulsione”.
Il Paradiso, per Dante, è un’esperienza “difficilissima– chiarisce lo psicoanalista- tanto che ne ha appena un’intuizione della completezza più piena che si possa immaginare. Una sensazione che ogni tanto c’è data di vivere quando facciamo esperienza dei più puri stati d’animo, quelli che la psicologia raccoglie sotto il termine di ‘pick experience’, ovvero di esperienze di picco: il raggiungere le prestazioni migliori, le intuizioni più limpide o gli stati d’animo non contaminati. Sono quei vissuti che spesso identifichiamo come una beatitudine metaforicamente paradisiaca”. Ricostruendo allora il percorso simbolico della Divina Commedia, si può vedere che queste esperienze “sono caratteristiche dei momenti in cui la coscienza dell’Io si connette e si interfaccia con il fondo archetipico della psiche. La piccola coscienza dell’Io entra in contatto con l’enormità inconscia degli archetipi, ed è lì che a volte viviamo i momenti di grazia, le intuizioni più lucide e acute” Ma essere sfera non è facile. “L’individuazione non può essere scambiata con uno stato d’animo più o meno beante– sottolinea Widmann- l’individuazione è un particolare regime dell’assetto interattivo tra l’inconscio e la coscienza. In questo senso lo stato di beatitudine dura un attimo, però produce una riorganizzazione permanente dell’assetto interiore, che ci costringe costantemente a cercare un’interazione soddisfacente tra le due parti antinomiche. Il Paradiso è un’esperienza che si può portare dietro aspetti di sofferenza dell’Inferno”. Alla sofferenza dell’Inferno segue la fatica del Purgatorio e si arriva alla spontaneità del Paradiso: “Qui l’Io non deve fare forza nel portare avanti le cose perché ha imparato a raccordarsi con la dimensione inconscia (del sé). Una delle caratteristiche delle ‘pick experience’ è proprio che le cose vengono spontaneamente- conclude Widmann- Dante non fa fatica a salire tutti i cieli”.
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