L’uomo sulla Luna, 50 anni dopo si prepara il ritorno

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“Abbiamo deciso di andare sulla Luna. Abbiamo deciso di andare sulla Luna in questo decennio e di impegnarci anche in altre imprese, non perché sono semplici, ma perché sono ardite”. John Fitzgerald Kennedy il 12 settembre del 1962 indicò la strada: era necessario arrivare sulla Luna. Un’avventura, una sfida, un sogno: la conquista della Luna ci sarebbe stata davvero, il 20 luglio 1969. Una data storica che ha accomunato idealmente tutta l’Umanità, con gli occhi puntati verso quell’elettrodomestico relativamente nuovo, il televisore, che rimandava immagini e commenti che sembravano arrivare dal futuro.

Neil Armstrong, Buzz Aldrin, Michael Collins. Sono loro gli uomini della Luna, l’equipaggio del leggendario Apollo 11. Armstrong e Aldrin lasciarono la navicella madre e salirono a bordo del modulo ‘Eagle’ che li accompagnò nella discesa nel Mare della Tranquillità. L’impronta sulla superficie lunare, la bandiera a stelle e strisce piantata nel terreno, la Terra vista piccola, blu e lontana da una prospettiva impensabile, sono immagini entrate nell’iconografia comune da mezzo secolo a questa parte. Tre uomini soli, quelli dell’Apollo 11, hanno traghettato l’Umanità non solo in una nuova era spaziale, ma anche in una nuova coscienza collettiva.

Il fascino dell’evento fu indiscusso, indelebile in chi, quella mattina alle 4.56 ora italiana, era davanti allo schermo a seguire la telecronaca Rai di Tito Stagno, coadiuvato da Andrea Barbato e Ruggero Orlando. Tra loro anche l’attuale presidente dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), Giorgio Saccoccia. “Il mio ricordo è che avevo sei anni e già un fortissimo interesse per le tematiche spaziali, la Luna mi ispirava particolarmente. Quella notte ero con mia mamma di fronte alla televisione. Mia mamma, era interessata lei ovviamente, ma rimase lì anche perché c’era questo bimbo con un fortissimo interesse. E’ stato qualcosa che mi ha lasciato proprio un’impronta e credo che abbia ulteriormente influenzato le mie scelte professionali successive”.

Tornare sulla Luna potrà impressionare allo stesso modo le nuove generazioni? “Sì, sì, io ne sono convinto. Perché l’idea di andare oltre i nostri confini è proprio della natura umana. Se verrà rifatto non solamente per andarci e basta, ma proprio per rimanerci con una presenza sostenibile che possa servire poi da punto intermedio magari per la conquista di Marte, sicuramente l’impatto sarà simile, ma potrà essere anche superiore a quello di 50 anni fa”.

I più giovani hanno sentito parlare dell’allunaggio soprattutto da cinema, tv e libri di storia e concordano sul fatto che sia stato un momento storico. Cresciuti tra scienza e fantascienza, si sono abituati all’idea di considerare un viaggio extraterrestre come un’opportunità.

L’attesa della nuova era di esplorazione e il primo allunaggio del 20 luglio 1969 hanno anche spalancato le porte a un’ondata pop a tema spaziale. Film, da 2001 Odissea nello Spazio del 1968 fino al più recente The First Man con Ryan Gosling, senza dimenticare le saghe di Star Trek e Guerre Stellari, serie tv come Mork&Mindy, e ancora stemmi della Nasa, razzi giocattolo e memorabilia hanno invaso l’immaginario collettivo. È, poi, dell’11 luglio 1969 la pubblicazione di Space oddity, il brano di David Bowie che racconta la triste avventura di Major Tom, lanciato verso una missione epica e poi perduto nello Spazio. Un brano che l’astronauta Chris Hadfield registrò addirittura sulla Stazione spaziale internazionale con tanto di videoclip, incantando tutto il mondo. E adesso? La Storia va avanti. Il futuro guarda ancora alla Luna. L’idea è quella di usare il nostra satellite come campo base per le esplorazioni di lungo raggio, prima fra tutte quella verso Marte, il pianeta rosso. Insomma, la Luna è da esplorare in una veste diversa, come ci ha suggerito l’astronauta italiano Luca Parmitano. “Per me è importante perché ci siamo andati un po’ come i vichinghi sono andati negli Stati Uniti, nelle Americhe, la prima volta- ha commentato Parmitano parlando con l’Agenzia Dire-. Sono andati lì, hanno un po’ visto che cosa c’era, hanno lasciato delle impronte, sono ritornati indietro senza riuscire a comprendere la vastità di quello del territorio, di quello che c’ era da scoprire, quello che c’ era come potenziale. Noi con le missioni Apollo siamo siamo un po’ a livello degli esploratori con le caravelle: siamo andati lì, abbiamo abbiamo piantato una bandiera, abbiamo visto che c’è che c’è tantissimo lavoro da fare, che c’è tantissimo potenziale ma dobbiamo tornarci come il Mayflower, come i coloni, dobbiamo tornarci per sfruttare quel potenziale e per continuare il nostro processo di esplorazione”.

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