Marocco, contro ‘caccia a gay’: parte petizione internazionale

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Attivista: "Comunità lgbt perseguitata, un ragazzo è morto" Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

ROMA – “Dopo la scandalosa campagna che ha colpito tutta la comunita’ Lgbt+ marocchina, e a causa della quale un ragazzo si e’ tolto la vita, e’ nato un movimento di liberazione internazionale, il #Queer_Revolution_Morocco. Lo ha fondato Mala Badi, una ragazza transessuale che e’ dovuta scappare dal Marocco. A Qrm hanno aderito giovani marocchini sia residenti in Marocco sia all’estero per esercitare pressioni su Rabat affinche’ le cose cambino”.

Adam Aloui, un giovane italo-marocchino, e’ il rappresentante di Qrm in Italia e la campagna denunciata all’agenzia Dire era partita a inizio aprile. Dalla Turchia, una influencer di Instagram, Sofia Taloni, ha incoraggiato i suoi 620.000 follower a iscriversi alle app marocchine di incontri per omosessuali per poi rendere pubbliche foto e nomi degli utenti. Un’iniziativa culminata nel suicidio di un ragazzo di 21 anni.

Nel Paese nordafricano l’omosessualita’ – come ogni altro rapporto sessuale al di fuori del matrimonio – e’ un reato punito con multe e carcere. Solo nel 2018 almeno 170 persone sono finite agli arresti. Ma a pesare e’ anche lo stigma sociale che colpisce la comunita’ Lgbt+, nonche’ le lavoratrici del sesso. Dopo questa triste vicenda Badi ha lanciato una petizione, che ora il gruppo Qrm sta rilanciando in varie lingue per chiedere l’abrogazione della contestata legge 489 e di tutte le altre norme che penalizzano i rapporti al di fuori del matrimonio, favorendo i diritti di tutti.

Per Adam Aloui e’ importante che si ponga fine alla campagna di outing, che forza le persone a rivelare il proprio orientamento sessuale. Le app di incontri in Marocco “sono abbastanza diffuse nei Paesi musulmani” spiega l’attivista: “Rappresentano uno spazio, forse l’unico, in cui persone Lgbt+ possono conoscersi senza timore. Almeno cosi’ era prima dei fatti recenti”.

Aloui ricorda che la pratica di “andare a caccia di gay” negli altri Paesi e’ piu’ frequente. “In Egitto ad esempio – dice – e’ la polizia a contattare gli omosessuali tramite le app e ad arrestarli una volta fissato l’incontro”.

Dopo la notizia del suicidio del 21enne, continua l’attivista, “in Marocco la gente ha capito la gravita’ della situazione. Ne e’ nato un dibattito”. Secondo il giovane, diverse associazioni marocchine hanno denunciato il fatto, invocando la violazione della privacy e la diffusione di dati sensibili e “la polizia ha aperto un’inchiesta”.
L’emergenza coronavirus e la quarantena ha complicato le cose.

“Non e’ stato possibile organizzare cortei di protesta” ha ricordato il giovane. E’ stato inoltre proprio il lockdown a far tornare a casa il 21enne che si e’ tolto la vita, lasciando la Francia, dove studiava. L’impossibilita’ di ripartire e’ stato tra i motivi del suo gesto.

Tra i politici poi, denuncia Aloui, “nessuno si e’ espresso contro l’intera vicenda”. Adire la Corte africana dei diritti dell’uomo e’ poi impossibile, secondo l’attivista: “La maggior parte degli Stati membri condanna l’omosessualita’, anche con la pena di morte”.
E le istituzioni italiane? “Non ho fiducia” risponde l’italo-marocchino, che chiarisce: “A malapena siamo riusciti ad ottenere le unioni civili, ma solo dopo che la Commissione europea per i diritti umani ci ha sanzionato. Inoltre la legge contro l’omofobia e’ ferma. Se non si riesce a difendere la comunita’ Lgbt+ italiana, difficile farlo con quella marocchina”.

L’obiettivo della petizione, a ogni modo, e’ “creare pressione internazionale sul Marocco, anche per incoraggiare i marocchini stessi a lottare per i diritti di tutti”.

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