Marta Fana: “Da Treu al Jobs Act, così le riforme hanno manomesso lo Statuto dei lavoratori”
- Michele Bollino
- 20/05/2020
- Lavoro
- m.bollino@agenziadire.com
Marta Fana, ricercatrice esperta di mercato del lavoro e autrice di "Non è lavoro, è sfruttamento” e "Basta salari da fame!"(Laterza, 2019): "Oggi non basta limare gli spigoli della precarietà, bisogna essere coraggiosi" Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print
MILANO – Uno statuto dei lavoratori “manomesso” dai continui interventi legislativi, la necessità di rilanciare i diritti perché “nessun lavoratore può essere povero” e la battaglia del salario minimo “capace di riunire dopo decenni i lavoratori”. Poi, la dura lezione del coronavirus, che mostra “il fallimento del mercato, inadeguato a funzionare come meccanismo di assicurazione e di stabilizzazione”. In occasione dei cinquant’anni dall’approvazione dello statuto dei lavoratori, l’agenzia di stampa Dire ha intervistato Marta Fana, ricercatrice esperta di mercato del lavoro e autrice di “Non è lavoro, è sfruttamento” e “Basta salari da fame!”(Laterza, 2019).
Senza ipocrisie nei confronti di un sistema dove “l’avvicendarsi di diverse crisi ha reso sempre più poveri e vulnerabili i lavoratori”, per Marta Fana “oggi non basta limare gli spigoli più acuti e violenti della precarietà e dello sfruttamento. Bisogna essere coraggiosi per mandare avanti la storia, così come si era fatto 50 anni fa”.
- Marta Fana, oggi si celebrano i cinquant’anni dall’approvazione dello statuto dei lavoratori. Ma qual è il suo stato di salute attuale?
“Oggi lo statuto dei lavoratori è in una condizione di manomissione. La causa sono state principalmente le riforme del mercato del lavoro che si sono succedute da subito dopo l’approvazione dello statuto stesso”.
In particolare, spiega Fana, questa manomissione è partita “dal pacchetto del 92/93 che doveva combattere la crisi scaricandola già sui lavoratori, fino a tutta la bulimia del pacchetto Treu e al Jobs Act. Questo non significa soltanto articolo 18, è venuto meno il fatto di avere la Costituzione nei luoghi di lavoro, il che significava democrazia condivisa delle scelte aziendali”.
Inoltre, aggiunge, “c’è molta più repressione oggi che alla fine degli anni ’70, quando effettivamente era stata combattuta, e non a caso il primo articolo dello statuto dice proprio fuori le guardie dai luoghi di lavoro se non per proteggere i macchinari o azioni che possano danneggiare macchinari e immobili aziendali”.
- Quali sono, oggi, le sfide principali per i diritti dei lavoratori?
“Oggi più che mai, visto l’avvicendarsi di diverse crisi che hanno reso sempre più poveri e vulnerabili i lavoratori, c’è assolutamente bisogno di un intervento legislativo a tutela dei diritti dei lavoratori. Parlo di un intervento legislativo perché deve essere una cosa che vale per tutti sul piano nazionale e non può essere derogata agli accordi d’impresa o alla magnanimità di qualche datore di lavoro o alla forza, dove esiste, del sindacato, perché sappiamo che in Italia soltanto il 20% dei lavoratori in azienda hanno una rappresentanza sindacale. Secondo me bisogna ripartire proprio da quei principi che da prima di cinquant’anni fa avevano condotto le lotte, che erano i principi di uguaglianza, democrazia e libertà”.
“Io lo continuerò a ripetere sempre- aggiunge- un nuovo statuto dei lavoratori che guardi sul serio alla sfida del futuro, intesa come progresso sociale e democrazia, deve avere come primo articolo ‘Nessun lavoratore può essere povero’. E questo è, di nuovo, riportare la democrazia e la costituzione nei luoghi di lavoro, perché sostanzialmente riprende, da un lato, l’articolo 3 contro le disuguaglianze e, dall’altro, ci dice come l’art. 36 che il lavoratore ha diritto a un’equa e proporzionata retribuzione. Ma perché senza sicurezza sociale, i lavoratori non possono essere liberi”.
“Le altre due cose che vanno introdotte- spiega Fana- e che non erano state introdotte nel ’70 perché già sconfitte sul campo precedentemente, sono il cottimo, da abolire insieme a tutte le forme di lavoro gratuito, e poi restituire responsabilità ai committenti negli appalti, cioè basta con l’intermediazione di manodopera e gli appalti alla ‘prendi i soldi e scappa’, che è un sistema anche deleterio per l’economia e la produzione in se e non soltanto per i lavoratori”.
- Per celebrare il cinquantesimo anniversario dello statuto dei lavoratori, la Cgil ha proposto di approvare un nuovo statuto dei lavoratori. Come vedi questa proposta?
“La vedo vecchia. La carta dei diritti del 2016 era un buono spunto, ma già nel 2016 arrivava in un momento in cui era vecchia perché era stata ideata prima delle ultime riforme del lavoro e della controffensiva padronale. Ma soprattutto oggi non basta limare gli spigoli più acuti e violenti della precarietà e dello sfruttamento. Bisogna fare un passo in avanti: se vogliamo uno statuto che sia all’altezza non può essere uno statuto difensivo che dice diamo un po di diritti a tutti. Dobbiamo veramente stravolgere molte cose”.
“Mi ricordo ad esempio- prosegue Fana- l’analisi sull’alternanza scuola lavoro. Anche lì la versione era ‘diamo i diritti in modo tale da riassorbire gli abusi’. No, noi non vogliamo che gli studenti debbano obbligatoriamente lavorare. Anzi, al contrario, dobbiamo ricominciare a dire che siano i lavoratori ad avere diritto alle 150 ore con cui continuare a istruirsi nelle discipline più disparate dove vorranno fare formazione, istruzione e cultura. Bisogna anche essere coraggiosi per mandare avanti la storia, così come si era fatto 50 anni fa”.
- A proposito di coraggio, la battaglia per il salario minimo può essere un punto di partenza?
Oggi della battaglia sul salario minimo “non se ne parla più. Ovviamente la prima cosa che ci hanno detto per governare la crisi è stata ‘dovete cedere diritti e salari se volete mantenere i livelli occupazionali’. Eppure quella sarebbe una riforma di civiltà per l’Italia perché, appunto, complementa i contratti collettivi nazionali, dandogli forza e ponendo un principio di fondo: nessun lavoratore deve essere povero. Il salario minimo legale diventa la soglia sotto la quale, indipendentemente dal tipo di contratto e dalle caratteristiche demografiche del lavoratore, dal genere, nazionalità, nessun lavoratore può esser pagato”.
“Io- prosegue Fana- continuo a pensare che sia una sfida enorme perché riunifica dopo decenni i lavoratori. Per un salario minimo e contro il cottimo, perché le due cose sono legate, noi troviamo insieme i riders, i giornalisti, le donne delle pulizie a cottimo, gli infermieri esternalizzati pagati a numero di prelievi fatti e così via. Cioè rimettiamo insieme un corpo sociale che nessuno da tempo ha riunito, lasciandolo spezzettato agli interessi del mercato”.
- Venendo all’attualità, il coronavirus riporta in evidenza la necessità di maggiori tutele per la salute dei lavoratori ma offre anche il pretesto per chiedere, come ha fatto il presidente di Confindustria, più libertà e meno regole per gli imprenditori. Quali sono le sfide poste dalla pandemia?
“La pandemia ci dice che abbiamo bisogno di molta più stabilità e rigidità contro quelli che sono gli obiettivi razionali delle imprese di fare profitto. Il che significa anche che abbiamo bisogno di più sanità e più trasporto pubblico e non invece incentivare l’uso delle macchine e questo diventa salario reale che aumenta. Ma soprattutto non lo possiamo più fare in un regime di mercato che si è dimostrato inadeguato a funzionare come meccanismo di assicurazione e di stabilizzazione delle cose. Infatti, non a caso, quando chiedono i finanziamenti li chiedono a fondo perduto senza dirci quale sarà il modello industriale post pandemia”.
“Per avere più sanità, più istruzione e più trasporti- aggiunge Fana- abbiamo bisogno di un grande piano di occupazione pubblica. E si può fare perché poi là dentro tieni alti i salari e le condizioni di lavoro e riduci l’orario di lavoro. Dall’altro lato abbiano anche bisogno di irrigidire proprio le libertà di queste imprese che, se andiamo a guardare qual è stato il loro contributo all’economia italiana negli ultimi 25 anni, vediamo che è tutto stagnazione e declino”.
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