Migranti, ‘Cara Italia’ scrive a Lamorgese: “Bene regolarizzare, ma quante lacune”

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Cara Italia chiede "un ampliamento" dei settori e incoraggia "politiche utili a ridurre le inuguaglianze economiche generali" Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

ROMA – Il Decreto rilancio, che punta alla regolarizzazione di braccianti, colf e badanti di origine straniera, presenta almeno cinque punti critici: lo riferisce l’associazione Cara Italia, che in un rapporto di otto pagine indirizzato alla ministra dell’Interno Lamorgese, realizzato grazie al supporto di un gruppo di avvocati specializzati, ha individuato “lacune e dubbi interpretativi” nella legge di conversione del provvedimento, approvata il 17 luglio.

In primo luogo, gli esperti chiedono di ridurre il contributo forfettario che il datore di lavoro deve versare per ogni lavoratore per coprire i costi della procedura di regolarizzazione. La legge lo fissa a 500 euro, mentre nella proposta presentata da Cara Italia si propongono 300 euro per il primo comparto (agricoltura, allevamento e zootecnica, pesca ed acquacoltura ed attivita’ connesse), 100 euro per il secondo (assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, anche se non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza) e 200 euro per il terzo (lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare).

Questi tre ambiti sono gli unici previsti dalla legge per poter accedere alla procedura di regolarizzazione. Una scelta che, secondo gli avvocati, costituisce “una discriminazione indiretta nei confronti degli stranieri, i quali godono della parita’ di trattamento nell’accesso al lavoro”.

Pertanto, Cara Italia chiede “un ampliamento” dei settori e incoraggia “politiche utili a ridurre le inuguaglianze economiche generali” affinche’ gli stranieri “siano considerati una risorsa per lo Stato” e siano sottratti da ogni “situazione di sfruttamento”.

L’analisi dell’associazione solleva inoltre dubbi sulla possibilita’ per i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno scaduto a partire dal 31 ottobre 2019 (che non sia stato ne’ convertito ne’ rinnovato e che dimostri la presenza in Italia alla data dell’8 marzo 2020), di richiedere il rilascio di un permesso di soggiorno semestrale per ricerca lavoro.

Non solo i legali ritengono “illogica” la data del 31 ottobre, ma sollevano dubbi sul modo in cui le disposizioni sono articolate: il richiedente potrebbe avere difficolta’ a veder accolta la propria istanza non tanto per la mancanza dei requisiti richiesti, bensi’ per problemi riguardanti la modalita’ della procedura, la gerarchia delle fonti e le attribuzioni tra i singoli uffici incaricati di seguirne l’istruttoria.

Gli ultimi due punti critici riguardano il reddito imponibile del datore del lavoro, la cui soglia secondo gli esperti non e’ definita in modo chiaro, e la condizione del richiedente asilo che abbia gia’ in corso un regolare contratto di lavoro.

In questo caso, la legge fa si’ che il richiedente asilo debba completare la pratica di emersione sciogliendo e poi ripristinando il contratto di lavoro, incorrendo quindi nel rischio di perdere l’impiego.

Un secondo profilo di rischio sarebbe dato dall’ipotesi in cui il richiedente asilo stia gia’ lavorando regolarmente in un settore diverso da quelli previsti nel provvedimento.

“In tale eventualita’ – denuncia Cara Italia – si porrebbe il problema dell’incompatibilita’ del permesso di soggiorno temporaneo, che consente di svolgere attivita’ lavorativa esclusivamente nei settori di attivita’ previsti dal Decreto legge”.

La comunicazione a Lamorgese e’ firmata dal coordinatore nazionale dell’associazione, Stephen Ogongo insieme con gli avvocati Angela De Palo Roberta De Simone, Federica Merlo, Anna Maria Marinelli, Andrea Guadagnini, Annalisa Avagliano, Alì Listì Maman, Gennaro Di Bonito e Roberta Rossetto.

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