Non ci si può fidare della dicitura “senza antibiotici” sui prodotti di origine animale, lo studio Usa

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Negli allevamenti intensivi si utilizzano spesso antibiotici per curare, e in alcuni casi addirittura prevenire, malattie degli animali. Chi consuma carne, dunque, rischia di ingerire tracce di queste sostanze.

Nel tempo, sul mercato sono comparsi diversi prodotti di origine animale che vantano diciture come “allevato senza antibiotici” o similari. Ma è davvero così? Uno studio americano mostra una situazione un po’ diversa da quella che ci si aspetterebbe.

Alcuni campioni di carne bovina degli Stati Uniti che si vantavano di essere prodotti senza antibiotici, in realtà, presentavano tracce di questi farmaci, secondo uno studio pubblicato su Science.

È il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ad approvare le etichette della carne dove si leggono affermazioni come “No Antibiotics Ever”, “No Added Antibiotics” e “Raised Without Antibiotics”. Lo studio sottolinea però che i consumatori non dovrebbero fidarsi di queste diciture che si trovano sulle confezioni.

Per affermare ciò, i ricercatori hanno analizzato dei campioni di urina da carni macellate per il mercato “antibiotic free”.  Sono state testate quasi 700 mucche da 312 lotti e 33 diversi allevamenti certificati senza antibiotici.

I ricercatori hanno scoperto però che il 42% degli allevamenti intensivi aveva almeno un test sugli animali positivo, rappresentando circa il 15% delle mucche “allevate senza antibiotici” macellate durante il periodo di studio.

senza antibiotici studio infografica

© K. FRANKLIN/SCIENCE

Lance B. Price, uno degli autori dello studio, considerando questi risultati ha concluso che:

Fino a quando l’USDA non agirà per verificare rigorosamente queste affermazioni o i rivenditori non elimineranno il loro porto sicuro dell’ignoranza, i consumatori non dovrebbero fare affidamento sull’accuratezza di queste etichette.

In sostanza, i risultati mostrano che l’etichetta “Raised Without Antibiotics” utilizzata negli Usa non è sempre affidabile e, sebbene lo studio sia limitato alle mucche, gli autori suggeriscono che anche per altri animali d’allevamento si verifica lo stesso problema.

La responsabilità di questa situazione viene imputata ovviamente agli allevatori scorretti ma anche all’USDA che non impone alle aziende test empirici per convalidare tali affermazioni.

Dei nove miliardi (!) di animali da allevamento macellati per il cibo negli Stati Uniti ogni anno, l’USDA testa meno di 7.000 animali per gli antibiotici attraverso il National Residue Program degli Stati Uniti. Tuttavia, questo programma non è progettato per valutare l’affermazione “Raised Without Antibiotics” e determina solo se gli antibiotici superano i loro limiti massimi di residui, una soglia definita sicura per il consumo.

E questo non va proprio bene, soprattutto se consideriamo il pericoloso aumento della resistenza agli antibiotici da imputare proprio agli allevamenti intensivi.

La dipendenza e l’uso eccessivo di questi farmaci negli allevamenti di animali (che vivono ammassati in piccoli spazi), sta infatti contribuendo fortemente allo sviluppo e alla diffusione dei batteri resistenti agli antibiotici, il che è un serio pericolo per la salute  pubblica. Leggi anche: Il consumo massiccio di carne sta aumentando la resistenza agli antibiotici: ecco perché

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Fonte: Science

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