Operazione “Iddu”, colpo a Cosa Nostra
Ventuno arresti, inferto duro colpo al clan Brunetto, al sodalizio ripostese.
Iddu è il nome della vasta operazione antimafia che dalle prime luci dell’alba di oggi ha portato all’arresto di 21 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di “associazione di tipo mafioso”, “associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti”, “detenzione e spaccio di stupefacenti”, “estorsione aggravata”, “lesioni aggravate”, tutte commesse con l’aggravante del metodo mafioso. Il blitz prende il nome dal nome in codice di Benedetto La Motta, il capo clan.
Oltre 100 i Carabinieri del Comando Provinciale di Catania che, nelle province di Catania, Milano e Lecce, su delega della Procura Distrettuale etnea, hanno inferto un duro colpo al clan Brunetto, in particolare ai membri di Riposto.
Il provvedimento trae origine da una complessa indagine condotta dalla Compagnia Carabinieri di Giarre dal 2017 al 2019, mediante attività tecniche e dinamiche, ulteriormente riscontrate da dichiarazioni di più collaboratori di giustizia, che ha consentito di:
- individuare e colpire con provvedimento restrittivo della custodia cautelare in carcere, alcuni appartenente al gruppo di Riposto della famiglia di Cosa Nostra catanese Santapaola – Ercolano, operante nei comuni di Riposto e Giarre;
- definire la struttura, le posizioni di vertice e i ruoli degli indagati nell’ambito del sodalizio malavitoso, ricostruendone l’ingente volume di affari illegali, il sistema di gestione delle “piazze di spaccio”, le modalità di approvvigionamento/cessione degli stupefacenti (cocaina, marijuana e hashish) e il mantenimento degli appartenenti all’organizzazione detenuti;
- documentare 5 estorsioni consumate ed un’altra tentata ai danni di esercenti, di vari settori, commesse al fine di agevolare l’organizzazione mafiosa di appartenenza;
- arrestare, a riscontro dell’attività investigativa, n.10 persone e sequestrare complessivamente kg. 210 di marijuana, gr. 320 di cocaina, gr. 40 di hashish, nonché una piantagione costituita da 170 piante di canapa indiana, n. 4 cartucce per pistola cal. 7.65 e la somma in contanti di 4.715,00€.
Per quanto riguarda la gestione delle piazze di spaccio, l’indagine ha permesso di documentare un’attività svolta 24 ore su 24, con venditori al dettaglio articolati in turni. Sono stati poi identificati gli indagati che si occupavano dell’approvvigionamento delle sostanze, del loro occultamento, confezionamento e di rifornire regolarmente gli spacciatori. L’incasso giornaliero complessivo dell’organizzazione è quantificabile in diverse migliaia di euro al giorno. Significativo notare che il sodalizio finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, nonostante nel corso delle indagini siano stati operati degli arresti in flagranza di pusher o il sequestro in rilevanti quantità di droghe, è sempre riuscito in breve tempo a riorganizzarsi per proseguire nelle attività illecite.
La direzione e gestione del clan era riconducibile a Benedetto La Motta, capo della frangia santapaoliana operante su Riposto, detto “Benito”, 62enne, pluripregiudicato, indicato da più pentiti come referente del clan catanese, coadiuvato da alcuni fedelissimi, fra i quali il noto “killer delle carceri” Antonino Marano, che dopo la sua lunga detenzione, durata circa 47 anni, scarcerato nel dicembre 2014, si è subito riorganizzato affiliandosi al clan. I due sono stati recentemente colpiti da ordine di custodia cautelare in carcere per l’efferato omicidio di Dario Chiappone, commesso nell’ottobre 2016.
La gestione del mercato illecito degli stupefacenti era affidata agli uomini di fiducia che si occupavano di reclutare i pusher, fornirli di telefoni cellulari e motorini elettrici e corrispondere loro circa 250 euro a settimana quale compenso.
Le investigazioni hanno, inoltre, portato alla luce una serie di attività estorsive poste in essere ai danni di diversi esercizi commerciali di Giarre e Riposto, le cui parti offese non hanno mai denunciato le vessazioni subite, ad ulteriore riscontro del carattere mafioso del sodalizio e della grande forza intimidatrice del vincolo associativo che continua ad imporre omertà alle vittime.
A seguito dell’arresto di La Motta, avvenuto nel dicembre 2017 su ordine di carcerazione, le attività non si interrompevano e, anzi, subentrava al marito Grazia Messina, la quale, sino alla successiva scarcerazione dello stesso (avvenuta nel giugno 2018) non solo riceveva i proventi delle estorsioni, ma dimostrava di saper amministrare anche la giustizia criminale quando, in occasione di una rapina avvenuta ai danni di un esercizio commerciale sottoposto al pizzo, commissionava il pestaggio di uno dei rapinatori, proprio per non dare segni di debolezza.
Dei 22 destinatari del provvedimento, 14 sono stati tradotti presso le Case Circondariali di Catania, Siracusa, Messina, Caltanissetta, Milano e Lecce ad altri 7 indagati il provvedimento è stato notificato nelle carceri dove sono già detenuti, mentre per un indagato, attualmente localizzato all’estero, è stata avviata la procedura per la richiesta di M.A.E.
I nomi degli arrestati: Giovanni Bonaccorso, inteso “u ciasco”, Abedelmajid Boualloucha, Giuseppe Campo, inteso “fantino”, Ornella Cartia, Paolo Castorina, inteso “spiddo”, Giancarlo Leonardo Cucè, inteso “Leo”, Benedetto La Motta, inteso “Benito” “Iddu” “Patrozzu” e “zio”, Andrea La Spina, , inteso “bassotto” e “turchino”, Graziano Leotta, Cateno Mancuso, Massimiliano Mancuso, Antonino Marano, inteso “u vecchio” o “zu Nino”,Salvatore Marletta, inteso “Turi di Palagonia”, Grazia Messina, intesa “IDDA”, “patrozza” e “la zia”, Davide Patanè, Salvatore Patanè, Liborio Previti, “u tignusu”, Giovanni Russo, Andrea Sapienza, Agatino Tuccio, inteso “Tino o Catino”, Gaetano Zammataro, inteso “fasola”.