Partorire in casa o in ospedale: cosa scegliere
Il parto in casa è una delle opzioni su cui si discute maggiormente: si discute soprattutto dei rischi che si possono correre nel non avere un’assistenza adeguata in caso di complicazioni.
Uno studio ha analizzato quasi un milione di parti, 500mila avvenuti in casa e altrettanti in ospedale, per studiarne gli esiti e cercare così di tracciare un quadro della situazione. Lo studio, condotto da un team della McMaster University di Hamilton, Ontario (in Canada) è stato pubblicato sul sito EClinical Medicine, affiliato della rivista The Lancet.
La ricerca ha preso in esame parti avvenuti in casa e in ospedale in otto diversi paesi del mondo, scelti tra i più “industrializzati”: Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Inghilterra, Svezia, Olanda, Giappone e Australia.
In entrambi i casi (parto in casa per scelta o parto in ospedale) si è trattato di gravidanze prive di particolari problemi, considerate quindi a basso rischio.
I risultati non hanno mostrato grandi differenze in termini di sicurezza nelle diverse tipologie di parto: in particolare, nel caso dei parti in casa non si sono riscontrati maggiori episodi di mortalità perinatale, cioè durante il parto, né di mortalità neonatale, entro cioè le 4 settimane di vita, rispetto ai parti “ospedalizzati”. Le donne che sono considerate a basso rischio e intendano partorire a casa non sembrano avere un diverso rischio di perdita fetale o neonatale comparata a una popolazione di donne con il medesimo basso rischio che sceglie di partorire in ospedale.
Fondamentale però è l’assistenza ricevuta durante il parto: se il parto avviene in casa le ostetriche devono essere adeguatamente formate, pronte a rispondere ad eventuali emergenze e in collegamento con una struttura ospedaliera con una Terapia intensiva neonatale facilmente raggiungibile nel caso fosse necessario il ricovero.
A queste condizioni dunque (gravidanza a basso rischio, Paese sviluppato e assistenza ostetrica altamente specializzata) il parto in casa non presenta rischi maggiori per la donna e il bambino. Lo studio, dichiarano gli stessi autori, va preso comunque con cautela, e senza generalizzazioni.
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