Pena di morte, Iran e Arabia Saudita dove ci sono più esecuzioni; ma la Cina e altri 2 Paesi mantengono ancora il segreto di Stato

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Nel 2021 l’Iran ha messo a morte almeno 314 persone, il più alto numero di esecuzioni dal 2017. In Arabia Saudita, lo scorso anno le esecuzioni sono state almeno 65 e quest’anno andrà persino peggio, dato che sono state uccise 81 persone in un solo giorno. E non finisce qui.

Sono i numeri agghiaccianti che emergono dall’annuale rapporto di Amnesty “Condanne a morte ed esecuzioni nel 2021”, che riguarda il ricorso alla pena di morte da parte delle autorità giudiziarie.

Per il secondo anno consecutivo il numero degli stati che hanno eseguito condanne a morte è risultato il più basso da quando Amnesty International ha iniziato a raccogliere i dati sulla pena capitale: 18, meno del dieci per cento del mondo. La Sierra Leone ha abolito la pena di morte e, negli Usa, lo stesso ha fatto lo stato della Virginia.

Il rapporto

Nel 2021 si sono contate almeno 579 esecuzioni in 18 stati, con un aumento del 20% rispetto al 2020. Solo in Iran se ne sono registrare almeno 314 rispetto alle almeno 246 dell’anno precedente e si è trattato del più alto numero di esecuzioni dal 2017. La principale ragione è l’aumento del numero di esecuzioni per reati di droga, in violazione al diritto internazionale che proibisce l’uso della pena di morte per reati diversi dall’omicidio intenzionale.

In ogni caso, questo dato non tiene conto delle migliaia di esecuzioni che si presume siano avvenute in Cina, così come di altre in Vietnam e in Corea del Nord, Paesi dove le informazioni sulla pena di morte sono coperte dal segreto di stato.

A sua volta l’Arabia Saudita ha più che raddoppiato il dato del 2020 e la tendenza è destinata a proseguire nel 2022, considerato che in un solo giorno di marzo sono state messe a morte 81 persone. 

Dopo il calo del 2020, Iran e Arabia Saudita hanno ripreso a usare massicciamente la pena di morte, persino violando vergognosamente i divieti del diritto internazionale. La voglia di far lavorare il boia non è venuta meno nei primi mesi del 2022, dichiara Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

Le restrizioni dovute alla pandemia che avevano ritardato i procedimenti giudiziari sono state abolite in molte parti del mondo. In questo modo, i giudici di 56 stati hanno emesso almeno 2052 condanne a morte, con un aumento di quasi il 40% rispetto al 2020. I maggiori numeri di condanne alla pena capitale sono stati registrati in Bangladesh (almeno 181 rispetto ad almeno 113), India (144 rispetto a 77) e Pakistan (almeno 129 rispetto ad almeno 49).

Nonostante questi passi indietro,il totale delle esecuzioni registrate da Amnesty International nel 2021 è il secondo più basso, dopo quello del 2020, almeno a partire dal 2010.

L’Iran ha continuato a prevedere l’obbligatorietà della condanna a morte per il possesso di determinati tipi e quantità di droghe. Il numero delle esecuzioni per reati di droga è salito di cinque volte rispetto al 2020 (132 rispetto a 23). Le donne messe a morte sono state almeno 14 rispetto alle nove dell’anno precedente mentre tre sono state le esecuzioni di minorenni al momento del reato, in violazione degli obblighi di diritto internazionale dell’Iran.

Oltre a quello dell’Arabia Saudita (da 27 nel 2020 a 65 nel 2021), vanno registrati aumenti delle esecuzioni in Somalia (almeno 21 rispetto ad almeno 11), Sud Sudan (almeno nove rispetto ad almeno due), Yemen (almeno 14 rispetto ad almeno cinque), Bielorussia (almeno una), Giappone (tre) ed Emirati Arabi Uniti (almeno una). In questi tre ultimi stati non c’erano state esecuzioni nel 2020.

Significativi aumenti del numero delle condanne a morte rispetto al 2020 si sono visti nella Repubblica Democratica del Congo (almeno 81 rispetto ad almeno 20), Egitto (almeno 356 rispetto ad almeno 264), Iraq (almeno 91 rispetto ad almeno 27), Myanmar (almeno 86 rispetto ad almeno una), Vietnam (almeno 119 rispetto ad almeno 54) e Yemen (almeno 298 rispetto ad almeno 269).

pena morte mappa

©Amnesty

Pena di morte come strumento di repressione

In alcuni stati, nel 2021 la pena di morte è stata impiegata come strumento di repressione contro le minoranze e i manifestanti unita a un profondo disprezzo per le garanzie e le limitazioni previste dal diritto internazionale.

Un allarmante aumento dell’uso della pena di morte è stato registrato in Myanmar dove, grazie alla legge marziale, i militari hanno trasferito ai tribunali militari i processi contro imputati civili.

Ma qualche passo in avanti si sta facendo

In Sierra Leone, per esempio, a luglio scorso il parlamento ha approvato una legge che, quando entrerà in vigore, abolirà la pena di morte. In Kazakistan è entrata in vigore nel gennaio 2022 una normativa che abolisce la pena capitale per tutti i reati. Il Governo di Papua Nuova Guinea ha avviato una consultazione nazionale che nel gennaio 2022 ha dato luogo a una proposta di legge abolizionista, ancora da esaminare. Alla fine del 2021 il governo della Malesia ha annunciato che nell’ultima parte del 2022 presenterà una proposta sulla riforma della pena di morte. In Ghana e nella Repubblica Centrafricana i parlamenti hanno iniziato a discutere sull’abolizione.

Intanto, anche egli Stati Uniti d’America, la Virginia è diventato il primo stato abolizionista del Sud e il ventitreesimo in totale, mentre per il terzo anno consecutivo lo stato dell’Ohio ha riprogrammato o sospeso tutte le esecuzioni. A luglio la nuova amministrazione statunitense ha istituito una moratoria temporanea sulle esecuzioni federali. Nel 2021 è stato registrato il più basso numero di esecuzioni dal 1988.

Gambia, Kazakistan, Malesia, Federazione Russa e Tagikistan hanno proseguito a rispettare la moratoria ufficiale sulle esecuzioni.

QUI il rapporto completo di Amnesty.

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Fonte: Amnesty International

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