Piacenza, non solo droga e torture: anche orge ed escort nella caserma dei Carabinieri
- Mattia Caiulo
- 24/07/2020
- Emilia Romagna
- m.caiulo@agenziadire.com
Il gip: durante un'orgia nell'ufficio del comandante, la divisa dell'ufficiale era stata letteralmente calpestata Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print
PIACENZA – Si intitola “disciplina e onore”, a sottolineare come in realta’ mancassero del tutto, uno dei capitoli dell’ordinanza firmata dal Gip di Piacenza Luca Milani che ha disposto le misure cautelari per i Carabinieri stanziati nella caserma Levante del capoluogo emiliano. In verita’ tutti meno uno, un piantone che al telefono con il padre (pure lui nell’Arma) si disperava invece per le condotte criminali dei suoi colleghi a cui assisteva impotente.
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Nelle 326 pagine dell’ordinanza non ci sono infatti solo i reati di spaccio di droga in piena emergenza Covid, e di tortura per aver ingiustamente privato della liberta’ personale alcuni piccoli spacciatori a averli indotti a suon di botte a cedere lo stupefacente che i militari infedeli poi rivendevano.
Ma emergono anche condotte inserite, scrive il giudice, “nell’ambito di un generale atteggiamento di totale illiceita’ e disprezzo per i valori incarnati dalla divisa indossata“.
E’ il caso di “una serata organizzata all’interno della caserma alla presenza di due donne, presumibilmente escort, con le quali erano stati consumati rapporti sessuali”. Un’orgia, “tenutasi addirittura all’interno dell’ufficio del comandante” e in cui, nella concitazione del momento (“era un bordello” si legge nelle intercettazioni), la divisa dell’ufficiale era stata letteralmente calpestata.
Un ex informatore parla inoltre di una ragazza “ucraina o russa tossica” che quando e’ in astinenza si rivolge all’appuntato Giuseppe Montella (imputato eccellente) che la fa andare in caserma e le da’ la droga dietro prestazioni sessuali. L’informatore racconta ai magistrati anche di altri festini con una transessuale brasiliana.
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I Carabinieri indagati -10 in tutto su 23 persone coinvolte- agivano inoltre nella “convinzione di poter tenere qualunque tipo di comportamento, vivendo al di sopra della legge e di ogni regola di convivenza civile“. Ad esempio, millantando operazioni inesistenti, andavano al bar o al ristorante scattandosi candidamente delle foto.
“In un altro contesto- scrive il giudice- gli episodi accertati potrebbero forse essere qualificati come fatti di lieve entita’ ma non in questo caso”, perche’ “la spensieratezza degli indagati e la loro totale complicita’ fanno presumere che le violazioni dei loro doveri non costituissero un fatto raro ma rappresentassero praticamente la normalita’” e che fosse “assolutamente normale impiegare il tempo destinato al servizio nelle piu’ varie occupazioni (come ritirare libri o mozzarelle, ndr) utilizzando le auto di servizio.
Altro episodio messo in evidenza nell’ordinanza riguarda il pranzo di Pasqua organizzato da Montella con i colleghi, quando il lockdown vietava assembramenti. Una telefonata anonima segnalo’ quanto stava accadendo, ma in caserma venne tutto messo a tacere, e all’appuntato arrivarono pure le scuse per “il disguido”. Si rifa’ infine all’iputazione di estorsione, l’acquisto di un auto che sempre Montella, facendo pressione sul venditore, acquisto’ a circa 10.000 euro, quando ne valeva il doppio.
Insomma, “gli indagati appartenenti all’Arma dei Carabinieri” non appaiono “in grado di intravedere alcun limite al perseguimento dei propri scopi illeciti”, e per Montella si specifica che “l’agire del Carabiniere sia ammantato da una sorta di delirio di onnipotenza, che egli non solo esercita con violenza e arroganza, ma che ama rievocare con sarcasmo e auto esaltazione”.
Un atteggiamento cosi’ spregiudicato che, anche quando gli indagati si accorgono di essere sotto controllo tramite “cimici”, la sua la preoccupazione “non era l’essere potenzialmente sottoposto ad indagini, ma restava il blocco dell’approvvigionamento di sostanza stupefacente e, di conseguenza, i mancati introiti”.
Il “caso ha voluto- conclude il giudice Milani- che la data di conclusione del presente lavoro sia la stessa in cui, 28 anni fa servitori dello Stato, di tutt’altro spessore rispetto agli odierni indagati persero la vita compiendo il proprio dovere. A loro si dedica questo atto di giustizia“.
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