Più Pil-più vaccini? Dura uscirne migliori così
BOLOGNA – Da una parte Letizia Moratti, neoassessore alla Sanità della Lombardia con l’idea che alle regioni più ricche vadano date più dosi di vaccino. Dall’altra, Romano Prodi, che teorizza: “Abbiamo l’occasione per aggiustare almeno un po’ le insopportabili disuguaglianze che il Covid ha ampliato. E a chi governa toccherà il compito di mettere le cose a posto pensando che chi più ha più deve contribuire”. In mezzo, la questione: per quale ‘via’ si sceglie di uscire dal Covid. Moratti e Prodi sono agli estremi, come i poli della calamita esprimono forze che spingono in direzioni opposte. Ma in fondo la domanda è sempre quella che ci si fa dal ‘giorno 1’ della pandemia: “Ne usciremo migliori?”.
Ovviamente, la proposta di Moratti ha suscitato un coro di indignazione e condanna. Ed è arrivata una ‘spiegazione‘: quel che si voleva dire non era invocare più vaccini alle regioni più ricche, ma chiedere che si accelerasse la fornitura di dosi ad una “una regione densamente popolata di cittadini e anche di imprese, che costituisce uno dei principali motori economici”. Ma tant’è. Il messaggio è passato così: la Lombardia chiede più vaccini perché è più ricca. Nel giro di pochi giorni è di nuovo al centro del dibattito. Prima era per la scuola: il Tar rimanda gli alunni lombardi a scuola e il Covid colora di rosso la regione e li rispedisce a casa, un cortocircuito ‘perfetto’ per iniziare il 2021, con annessa ennesima coda polemica. E ora la faccenda dei vaccini. Che di questi tempi non è di poco peso: perché intanto già ‘la gente mormora’ che lo stop delle forniture di Pfizer sia dovuta al maggior peso contrattuale di altri paesi rispetto all’Italia. Chi più ha, più (o prima) si cura. Il sospetto si insinua e se in ballo c’è la sopravvivenza si rischia di scatenare effetti domino insidiosi. Peraltro applicato fra le Nazioni, all’Italia quando arriverebbero le dosi?
Ma la domanda è: davvero funziona? O meglio, davvero questo rende migliori le cose e il ‘mondo’?
Chi scruta il futuro sostiene che il rischio del domani in cui irromperà l’intelligenza artificiale non è quello di una guerra da robot e uomini ma appunto tra chi avrà accesso a ‘di più’ e chi a meno. “Sarebbe opportuno temere una elite di superuomini potenziata dagli algoritmi”, e dunque dal potersi permettere l’accesso a più tecnologie (che curano ad esempio), “e una classe inferiore di homo sapiens privi di qualunque potere”, scrive Yuval Noah Harari, in “21 lezioni per il XXI secolo”.
Ecco allora che l’equazione Moratti non è solo una questione di classica polemica sul diritto alla salute di tutti (che si esaurirà tra qualche giorno), sul perenne divario-conflitto tra nord e sud, ma è la spia di un’insidia, appunto, su quel che si rischia di diventare con il Covid. Non solo malati, ma anche non proprio migliori. Ed è un avvertimento sull’urgenza di ‘allenarsi’ su come vorremo essere domani e dopo il Covid, a stare attenti a cosa si costruisce oggi per dopodomani.
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