Pre-Cop26: che cos’è, differenze con la Cop26 e perché entrambe sono fondamentali in questo momento (anche se non risolutiva)
Ieri, al termine della conferenza Youth4Climate, hanno avuto inizio i lavori della Pre-Cop26 – in previsione della Cop26 che si svolgerà il prossimo novembre a Glasgow. Ma a cosa servono questi incontri, chi vi prende parte e quali sono gli obiettivi da raggiungere? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
Cos’è la Pre-Cop?
La Pre-Cop è l’ultima riunione ministeriale ufficiale prima della Cop26: riunisce i ministri del clima e dell’energia di un gruppo selezionato di paesi del mondo (40-50 paesi), insieme ai rappresentanti del Segretariato dell’UNFCCC, i presidenti degli Organi Sussidiari della Convenzione e ad altri attori che svolgono un ruolo chiave nella lotta al cambiamento climatico o nella transizione verso lo sviluppo sostenibile. Si tratta di un incontro ‘informale’ prima della riunione ufficiale di novembre, in cui i vari attori mettono sul piatto i possibili argomenti di discussione e le sfide che saranno affrontate durante la Cop26.
Quest’anno la Pre-Cop26 è stata preceduta per la prima volta da una serie di meeting (Youth4Climate) in cui ragazzi provenienti da 186 paesi del mondo hanno fatto sentire la loro voce sui temi della sostenibilità, della lotta al cambiamento climatico e della transizione ecologica, e che hanno portato alla stesura di un documento finale contenente le proposte dei giovani che saranno poi discusse a Glasgow.
Che cos’è la Cop?
Da quasi 30 anni, le Nazioni Unite riuniscono quasi tutti i paesi del mondo in ‘Conferenze delle Parti’ (Conference of the Parties o COP) per discutere di clima, ambiente e sostenibilità. Grazie a queste riunioni internazionali sono stati raggiunti importanti accordi per la tutela dell’ambiente: si pensi per esempio che la Cop21, svoltasi a Parigi nel 2015, si è conclusa con la risoluzione firmata da tutti i paesi partecipanti per limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C, puntando a limitarlo a 1,5°C (era il cosiddetto Accordo di Parigi sul Clima). Sempre in occasione della Cop di Parigi del 2015, tutti i paesi membri si impegnarono a creare un piano nazionale relativo alla riduzione delle emissioni sul proprio territorio (Nationally Determined Contribution o NDC) da aggiornarsi ogni cinque anni – questo è l’anno in cui i paesi presenteranno i loro piani aggiornati (il conteggio dei cinque anni è slittato in avanti di un anno a causa della pandemia da Coronavirus).
Quest’anno i leader mondiali attesi in Scozia sono più di 190, oltre a negoziatori, rappresentanti di governo, imprese e cittadini privati. I lavori dureranno 12 giorni (dal 31 ottobre al 12 novembre), nei quali i vari paesi dovranno spingersi ben oltre gli impegni siglati a Parigi per contenere i danni della crisi climatica.
Gli obiettivi della Cop26 a Glasgow
- Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C. Per fare questo è necessario che ogni paese si impegni a: ridurre la deforestazione; accelerare il passaggio verso fonti di energia rinnovabili; favorire la transizione verso i veicoli elettrici.
- Adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali. È necessario l’impegno di tutti per ridurre gli effetti devastanti del clima sulle popolazioni, specie su quelli più fragili a causa di povertà e limitate risorse economiche. Per fare questo è necessario costruire sistemi di difesa e di allerta, nonché infrastrutture e agricolture più resilienti che possano meglio fronteggiare i fenomeni climatici estremi.
- Mobilitare i finanziamenti. C’è bisogno del contributo economico sia dei singoli paesi che delle istituzioni finanziarie internazionali per liberare i fondi necessari al raggiungimento dell’obiettivo ‘emissioni zero’ entro il 2050 (si tratta di centinaia di miliardi di dollari).
- Collaborare. Solo insieme questi obiettivi potranno essere raggiunti con successo.
Perché potrebbe non bastare
Certamente l’impegno mostrato dalla politica e dai media nei confronti della crisi climatica è lodevole, ma lungi dall’essere sufficiente a risolvere il problema: molti scienziati concordano nel dire che, a questo ritmo, il mondo non riuscirà a contenere l’aumento delle temperature entro quanto stabilito dagli Accordi di Parigi. Inoltre, se solo ci guardiamo indietro all’estate appena trascorsa, possiamo vedere che i protagonisti indiscussi della stagione sono stati eventi climatici estremi (alluvioni, siccità, tempeste tropicali), temperature record e tantissimi incendi che hanno divorato boschi e foreste. Molti animali stanno scomparendo, come anche numerose specie di piante e interi habitat, con una perdita della biodiversità che non sembra avere fine. Insomma, c’è molto più in ballo che un semplice contenimento delle emissioni – c’è bisogno di una serie di azioni concrete messe in atto da tutti che possano far fronte ai tanti disastri provocati dall’uomo.
Non bisogna poi dimenticare l’ingiustizia geografica nella distribuzione delle conseguenze della crisi climatica: i paesi del Sud del mondo, meno responsabili dell’inquinamento, sono quelli che maggiormente pagano lo scotto dei disastri ambientali provocati dal riscaldamento globale. Un esempio di ciò è il Madagascar, primo paese al mondo colpito dalla carestia causata dalla crisi climatica. Tra un meeting e l’altro, i potenti della Terra farebbero bene a ricordare che in ballo c’è la salvezza dell’umanità, oltre che del Pianeta, e che è necessario affrettare il passo prima che sia troppo tardi.
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Fonte: UK Cop26
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