Robbio, il comune che ha ‘disobbedito’ alla Regione testando a tappeto i residenti e trovando 400 possibili donatori di plasma

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In Lombardia c’è un comune che sta facendo parlare di sé i giornali di tutto il mondo. Si tratta di Robbio, in provincia di Pavia dove il giovane sindaco, in barba alle disposizioni regionali, agli inizi di aprile, vista la mancanza di tamponi, ha invitato i cittadini ad eseguire i test sierologici a tappeto. Questo per trovare e isolare i positivi ed eventualmente di trovare possibili donatori di plasma che sarebbero risultati poi circa 400.

Più di 2000 persone hanno fatto la fila ed eseguito le analisi del sangue che hanno permesso da un lato di trovare (e isolare) molti casi positivi, circa la metà asintomatici, dall’altro di scoprire che approssimativamente il 12% di loro aveva anticorpi in grado di conferire alle persone, almeno temporaneamente, la “licenza di immunità”. Sopratutto in vista della Fase due, che ha visto molte persone rientrare a lavoro.

Da successivi indagini è stato possibile individuare poi circa 400 persone idonee a donare il proprio plasma iperimmune. Ma per motivi “burocratici” la Regione Lombardia sta bloccando le possibili cure, accusa il sindaco.

PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA… LA CITTÀ DI ROBBIO SUL NEWYORK TIMES.L'articolo completo al link.https://www.nytimes.com/2020/05/03/world/europe/coronavirus-antibodies-italy.html

Pubblicato da Roberto Francese su Domenica 3 maggio 2020

Un lavoro enorme, sicuramente lodevole, che sta scatenando molte polemiche perchè fatto tutto “in autonomia”, senza seguire i protocolli della Regione Lombardia.

Come ha raccontato il Sindaco Roberto Francese a Radio Popolare:

Avevamo un centinaio di cittadini a cui i medici di base chiedevano il tampone che non è mai stato fatto perché c’è carenza di tamponi in tutta la Regione. Noi abbiamo individuato questi test sierologici che hanno confermato la positività di questi cittadini e fatto emergere che il numero dei veri positivi erano 10 volte superiori a quelli ufficiali da tampone. Noi siamo fatti cosi, siamo al confine col Piemonte e siamo abituati a cavarcela da soli. Abbiamo fatto questo test a tutti, però ora c’è questo problema: in Lombardia c’è un test solo validato dalla Regione che è introvabile, quindi i nostri concittadini che vogliono andare a donare il sangue al Policlinico non possono farlo perché non gli fanno i tamponi, perchè non ci sono oltre al test che è introvabile. È problema burocratico che sta fermando 400 potenziali donatori per una cura che al San Matteo si vede che sta funzionando molto bene.

In pratica, i test utilizzati non sono quelli ufficialmente in uso nella Regione Lombardia, ma, ad esempio sono gli stessi adottati in Emilia Romagna e Veneto, validi in tutta Italia, tranne, appunto, nella zona amministrata dal Governatore Fontana.

Abbiamo avuto delle famiglie con sospetti positivi, i medici di famiglia lanciavano l’allarme, ma nessuno gli faceva il tampone. Queste persone non venivano nemmeno ospedalizzate perchè le direttive durante il picco dicevano di chiamare il 112 solo in caso di grave crisi respiratoria. Queste venivano assistite dai loro familiari, e quindi abbiamo avuto famiglie che sono state portate in rianimazione in 4 o 5 anziché ricoverarne uno solo. Adesso fortunatamente siamo in fase di miglioramento, ma il problema è che abbiamo gente in ospedale che non sta bene, gente che vorrebbe donare il plasma e che non può farla, e non è che le persone guariscono da sole. La regione Lombardia stessa dice che il plasma funziona, ma non la usa. Contunua il Sindaco

La cura al plasma sta dando ottimi risultati, come dimostrato da molteplici sperimentazioni in corso in diverse città italiane (come Mantova, Pavia, Padova, Novara) ed è quindi una concreta speranza di cura per molti malati.

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Ma non può donarlo chiunque: ci sono dei range di età prestabiliti, non si deve rischiare la trasmissione di altre patologie come AIDS e Epatite C e gli anticorpi nel sangue devono essere ritenuti sufficientemente alti da poter sperare in una loro azione in un altro organismo infettato. Inoltre i donatori devono asintomatici da almeno 14 giorni e con i test del Covid-19 negativizzati.

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Le accuse di interferenza non giustificata dalle istituzioni, comunque, si stanno intensificando. Ora arriva la protesta del sindaco di Robbio dove sembrerebbero 400 i donatori possibili con livelli di anticorpi sufficienti.

“Vogliono uccidere 400 persone perché il protocollo prevede che vadano bene solo i test fatti dalla Diasorin, unica accreditata dalla Regione. Dai nostri test non validati ma con marchio CE, alcuni già autorizzati dall’Emilia Romagna – spiega all’agenzia di stampa AGI il primo cittadino – Risultano 400 cittadini con valori altissimi di anticorpi IgG, cioé quelli che indicano un’infezione che si è verificata molto tempo prima. Hanno tutti espresso la volontà di donare il loro plasma al Policlinico San Matteo di Pavia, dove questa cura sta ottenendo eccellenti risultati, ma non possono.”.

Francese si sarebbe già rivolto direttamente alla Regione, in quanto la Diarison sembra rifiutarsi di vendere i loro test all’ospedale, e l’amministrazione sarebbe a questo punto disposta a far eseguire i test privatamente.

“Ho scritto all’assessore Gallera chiedendogli perché non approfittiamo di questa opportunità di salvare delle vite – continua – Se poi gli anticorpi diminuiranno di chi sarà la colpa dei morti? Possiamo salvare delle vite insieme ma bisogna partire subito per rispettare i protocolli”.

Sarebbe dunque un cavillo burocratico ad impedire la somministrazione della terapia. E per analogo motivo, effettivamente, diversi sindaci si stanno attrezzando con eseguire test non accreditati. Con richiamo immediato dell’Azienda territoriale sanitaria.

Le accuse sono molto “pesanti” ma non ci sono altri dettagli né sui test eseguiti né sulle caratteristiche dei donatori. E soprattutto, anche se tutti i guariti sembrano avere gli anticorpi specifici, c’è ancora incertezza su alcuni importanti dati scientifici, primo tra tutti quanto dura tale immunità, ma anche il livello minimo accettabile di anticorpi perché esista la speranza concreta di cura in via generale.

“Non sappiamo se tutti coloro che hanno avuto la malattia abbiano sviluppato un’immunità protettiva accettabile – spiega a questo proposito al New York Times Alessandro Venturi, presidente dell’ospedale San Matteo di Pavia, che ha validato il protocollo italiano – […] Le persone infette sviluppano diverse quantità di anticorpi e i ricercatori stanno ancora studiando il livello che offre protezione e per quanto tempo. […] Non sappiamo quanto durano: questo è il punto centrale”.

Dalle dichiarazioni del sindaco emerge inoltre confusione tra quella che è una terapia, ovvero il plasma iperimmune, e una misura preventiva, parlando di “400 vaccini umani” riferendosi ai potenziali donatori, e così le dichiarazioni sono state riprese su molti portali web.

Ricordiamo che i due concetti sono completamente diversi e assolutamente non paragonabili, perché il vaccino impedisce ad un organismo sano di ammalarsi mentre il plasma iperimmune è una cura per chi è già malato. Peraltro ancora da confermare del tutto e validare.

La ricerca deve andare avanti e ci auguriamo – questo sì – che non sia la burocrazia a fermarla se non ci sono ostacoli scientifici evidenti. Perché si rischia di mettere a repentaglio la vita di molte persone.

Fonti di riferimento: Radio Popolare / AGI / The New York Times

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