Sabbadini (Istat): “Due terzi delle donne occupate continuano a lavorare”
- Annalisa Ramundo
- 28/03/2020
- Donne, Lavoro
- a.ramundo@agenziadire.com
Le donne, anche se "meno colpite direttamente dal coronavirus, corrono un maggior rischio di isolamento" Condividi su facebook Condividi su twitter Condividi su whatsapp Condividi su email Condividi su print
ROMA – In emergenza coronavirus le donne italiane che stanno continuando a lavorare sono quasi i due terzi delle occupate: su un totale di 9 milioni e 872mila lavoratrici, 6 milioni 440mila circa svolgono regolarmente il loro servizio contro i 3 milioni e 400mila di quelle che invece stanno a casa perchè occupate nei settori oggetto di sospensione da decreto.
Sono le stime estrapolate, sulla base dei dati 2019 sulle occupate nei settori attivi e non attivi, dalla direttrice centrale di Istat, Linda Laura Sabbadini, intervistata dall’agenzia Dire sul tema ‘Donne in emergenza coronavirus’.
Il dato si spiega così: “È una percentuale più alta di quella degli uomini perchè le donne, ad esempio, sono meno presenti nel settore industriale e delle costruzioni, più colpito dal blocco– osserva Sabbadini- Tra le donne che continuano a lavorare molte, infatti, sono impiegate nella pubblica amministrazione, soprattutto nel settore dell’istruzione. Le donne stanno dando un enorme contributo alla lotta contro il coronavirus. Sono 420mila e rappresentano i due terzi del personale del Servizio Sanitario Nazionale. Sono quindi particolarmente esposte al rischio di contagio in questo caso e si prendono cura con grande dedizione degli altri”.
Sono, però, gli uomini a morire di più e lo vediamo dai dati di questi giorni. D’altra parte moltissime donne continuano a lavorare da casa, in particolare le insegnanti. “Queste donne sono meno esposte al contagio, ma stanno vivendo un forte sovraccarico di lavoro, soprattutto se hanno figli e devono garantire il lavoro a distanza, con lo studio a distanza dei figli e la loro cura. I lavori di cura e extradomestici si sovrappongono come orari- sottolinea Sabbadini- Questo si traduce in un forte sovraccarico di lavoro di cura, perché la presenza di bambini tutto il giorno significa prendersene cura al di là delle mansioni tradizionali e, soprattutto, dal punto di vista dei compiti dell’assistenza scolastica”.
Una funzione che “da varie indagini sappiamo essere svolta tradizionalmente dalle donne- sottolinea la direttrice di Istat- perché gli uomini nel lavoro di cura si occupano di più degli aspetti meno duri, quelli più creativi, che riguardano il gioco”. Il risultato è che “mentre nella fase precedente all’emergenza noi avevamo una separazione tra lavoro retribuito e lavoro non retribuito, la condizione del lockdown porta a un fortissimo sovraccarico e stress, in particolare sulle donne”.
Per Sabbadini “sarà interessante vedere se questo nuovo modello di convivenza a cui siamo purtroppo costretti dall’epidemia non porterà ad una riconfigurazione dei ruoli all’interno della famiglia, e quindi anche ad un maggiore partecipazione degli uomini nella divisione dei carichi familiari”.
Ma il ‘lockdown’ va a incidere molto anche nelle situazioni di violenza domestica. “I dati che arrivano dal 1522 ci dicono che c’è stato un crollo delle telefonate– ricorda Sabbadini- Non è un fatto positivo e non può essere letto come una diminuzione del fenomeno della violenza sulle donne. È difficile da interpretare, ma si possono fare varie ipotesi. Possono essere diminuite le richieste di aiuto perché le donne hanno meno libertà di movimento all’interno della casa e, quindi, hanno difficoltà a contattare il numero verde. In secondo luogo- aggiunge- può essere legato al fatto che rimandano perché in questo momento hanno una preoccupazione diversa, legata ai figli o al contagio. Il rinvio della richiesta di aiuto per una donna che sta in una situazione critica, però- ribadisce Sabbadini- espone al rischio di una violenza più grave”. Molte poi, “potrebbero non rivolgersi al Pronto Soccorso per paura del contagio o non andare in un centro antiviolenza perchè non sanno se funziona o meno. Per questo- sottolinea la statistica- bisogna diffondere con più forza le informazioni sul fatto che questi centri sono attivi e sicuri”.
Le donne “sono anche le più esposte all’isolamento”, osserva poi la direttrice di Istat. Questo perchè le donne sole anziane sopra i 65 anni, ad esempio, sono 3 milioni (un milione gli uomini soli ultrasessantacinquenni). “Sono moltissime e, normalmente, non sono sole perchè hanno una rete di relazioni spesso tenute da altre donne, figlie o nuore. Ora queste donne anziane non devono vedere nessuno- continua Sabbadini- e i figli non dovrebbero andare a trovarle”.
Ecco allora che, anche se “meno colpite direttamente dal coronavirus, le donne corrono un maggior rischio di isolamento, con tutte le conseguenze psicologiche e sanitarie che questo potrebbe comportare”.
Tutti aspetti che riguardano la situazione sociale delle donne che “l’Istat sta monitorando nel tempo anche in questi giorni grazie alla grande disponibilità dei cittadini”, fa sapere Sabbadini. E conclude: “Siamo mobilitati, tutti in smart working, per garantire un’informazione continua e dettagliata, fondamentale per disegnare politiche adeguate. L’informazione statistica è un bene pubblico. E noi ci stiamo impegnando tutti per garantirne il flusso anche in questo momento così difficile e drammatico”.
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