Smog e coronavirus, lo studio italiano: “L’inquinamento accelera il contagio”

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Tempo di Lettura: 2 minuti Redazione 17/03/2020 Ambiente redazioneweb@agenziadire.com Elevati livelli di particolato sarebbero in grado di fornire un supporto vitale alla sopravvivenza del virus, creando delle vere “autostrade del contagio” Condividi su facebook Condividi su twitter Condividi su whatsapp Condividi su email Condividi su print ..

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Elevati livelli di particolato sarebbero in grado di fornire un supporto vitale alla sopravvivenza del virus, creando delle vere "autostrade del contagio" Condividi su facebook Condividi su twitter Condividi su whatsapp Condividi su email Condividi su print

ROMA – Una solida letteratura scientifica descrive il ruolo del particolato atmosferico quale efficace “carrier”, ovvero vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus.

Il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, costituisce un substrato che puo’ permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il gruppo di ricercatori coinvolti nella ricerca ha esaminato i dati pubblicati sui siti delle ARPA – le Agenzie regionali per la protezione ambientale – relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio nazionale, registrando il numero di episodi di superamento dei limiti di legge (50 microg/m3 di concentrazione media giornaliera) nelle province italiane.

Parallelamente, sono stati analizzati i casi di contagio da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile. Si e’ evidenziata una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10-29 febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 marzo (considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 febbraio di 14 gg approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus fino alla identificazione della infezione contratta).

In Pianura padana si sono osservate le curve di espansione dell’infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale, in evidente coincidenza, a distanza di 2 settimane, con le piu’ elevate concentrazioni di particolato atmosferico, che hanno esercitato un’azione di boost, cioe’ di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia.

“Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura padana hanno prodotto un boost, un’accelerazione alla diffusione del COVID-19. L’effetto e’ piu’ evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai”, afferma Leonardo Setti dell’Universita’ di Bologna.

Gli fa eco Gianluigi de Gennaro, dell’Universita’ di Bari: “Le polveri stanno veicolando il virus. Fanno da carrier. Piu’ ce ne sono, piu’ si creano autostrade per i contagi. Ridurre al minimo le emissioni e sperare in una meteorologia favorevole”.

Alessandro Miani, presidente della Societa’ Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), aggiunge: “L’impatto dell’uomo sull’ambiente sta producendo ricadute sanitarie a tutti i livelli. Questa dura prova che stiamo affrontando a livello globale deve essere di monito per una futura rinascita in chiave realmente sostenibile, per il bene dell’umanita’ e del pianeta. In attesa del consolidarsi di evidenze a favore dell’ipotesi presentata, in ogni caso la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere considerata un possibile indicatore o “marker” indiretto della virulenza dell’epidemia da Covid19“.

Grazia Perrone, docente di metodi di analisi chimiche della Statale di Milano, conclude: “Il position paper e’ frutto di un studio no-profit che vede insieme ricercatori ed esperti provenienti da diversi gruppi di ricerca italiani ed e’ indirizzato in particolar modo ai decisori“.

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