Sotto gli occhi attoniti del mondo, il Vietnam detiene il record di “morti zero” per coronavirus

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I dati ufficiali parlano chiaro: in Vietnam non si muore di coronavirus, e i casi di infezione sono comunque limitatissimi rispetto alla popolazione, alla posizione geografica e alle risorse economiche del Paese. Un sistema di tracciamento e isolamento dei positivi efficace e capillare avrebbero bloccato l’infezione sul nascere. Ma non mancano i dubbi.

Lo Stato del Vietnam ha annunciato il primo caso di coronavirus il 23 gennaio e da subito il Governo ha intrapreso una politica “repressiva dei contagi” con campagne di test a tappeto, isolamento dei positivi e dispositivi di protezione individuale obbligatori. Anche prima che tutto questo fosse raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

D’altronde fu il primo Paese dopo la Cina a confermare un caso di SARS nel 2003 e quindi ben preparato ad epidemie di questa portata e gravità. Tamponi, tracciamento capillare dei cittadini, isolamento dei positivi e dei sospetti, e dure sanzioni contro i trasgressori (fino a 12 anni di carcere) sono state da subito messe in atto.

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“La prima misura è l’isolamento e il trattamento negli ospedali di persone che hanno confermato di avere il virus o con sintomi sospetti” spiega a ‘The coronavirus pandemic’ Kidong Park, che rappresenta il Vietnam presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

E ad oggi dichiara una situazione che sembra un miracolo, considerati i mille chilometri di confine che condivide con la Cina, una sanità pubblica con poche risorse e una densità abitativa di circa 300 abitanti per chilometro quadrato (con picchi ben maggiori) per una popolazione complessiva di quasi 100 milioni di abitanti.

Il governo conferma infatti, oggi 26 maggio, solo 326 casi, di cui 272 guariti, 54 ancora in terapia e nessun decesso. E l’ultimo caso risulta un cittadino vietnamita di ritorno su un volo di rimpatrio dalla Francia.

coronavirus vietnam

©Ministero della Salute del Vietnam – aggiornamento 26 maggio 2020

Si prevede ora che circa 4.300 vietnamiti saranno rimpatriati tra il 18 maggio e il 15 giugno su voli speciali da Australia, Canada, Corea del Sud, Regno Unito e Stati Uniti e il Governo ha recentemente approvato la riapertura delle porte e dei valichi di frontiera nelle province di Lang Son e Quang Ninh che collegano il Paese alla Cina.

La situazione dunque, ufficialmente, è più che sotto controllo. Sembra quasi che il Vietnam non abbia vissuto l’epidemia, se non fosse che analoghe misure, e molto più tempestive rispetto al resto del mondo, sono state comunque prese, tanto che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha previsto un rallentamento della crescita nel Paese pari al 2.7% nel 2020.

Le scuole sono chiuse da fine gennaio ed è iniziato un massivo lockdown il 16 marzo, per poi proseguire con chiusure di focolai più o meno estesi. Da allora più di 18.000 imprese sono state costrette a chiudere solo a Saigon e solo molto recentemente il Governo ha consentito la ripresa di tutti i servizi non essenziali ad eccezione dei club e delle sale da karaoke ma comunque con misure preventive. Tuttavia lo stesso FMI prevede una ripresa del 7% nel 2021.

Miracolo? Purtroppo non è tutto oro quello che luccica.

Come riportato da Reuters, infatti, all’inizio di aprile è entrato in vigore un decreto,preparato già a febbraio, che ha introdotto multe per la diffusione di fake news o voci sui social media, ufficialmente in contrasto con la rapida diffusione di commenti falsi sulla diffusione del coronavirus nel Paese.

In base alla normativa una multa di 10-20 milioni di dong, equivalente a circa 3-6 mesi di stipendio base in Vietnam, sarà imposta alle persone che usano i social media per condividere informazioni definite false, non veritiere, distorte o calunniose.

I dubbi però che sia una “scusa” per rafforzare il potere centrale non mancano: le sanzioni possono ora infatti essere imposte a chiunque condivida pubblicazioni vietate in Vietnam, incrementando di fatto, la censura in vigore.

“Questo decreto fornisce l’ennesima potente arma all’arsenale di repressione online delle autorità vietnamite – afferma Tanya O’Carroll, direttore tecnico di Amnesty International – Contiene una serie di disposizioni che violano palesemente gli obblighi internazionali in materia di diritti umani del Vietnam”.

Nella comunità internazionale dunque è forte il sospetto che non tutte le informazioni siano comunicate e quelle comunicate non siano sempre veritiere, anche in materia di coronavirus.

Ma i sistemi di tracciamento e isolamento dei positivi si sono mostrate efficaci praticamente ovunque.

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E dalle quali, comunque, si dovrebbe comunque imparare.

Fonti di riferimento: The coronavirus pandemic / Ministero della Salute del Vietnam / Vietnam Briefing / Fondo Monetario Internazionale / Reuters

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