Stenosi della carotide, nel 20% dei casi è alla base dell’ictus

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Tempo di Lettura: 3 minutiMILANO (ITALPRESS) – La carotide è l’arteria che porta il sangue dal cuore al collo e alla testa. Ne abbiamo due, una a destra e una a sinistra, che scorrono longitudinalmente nel collo, e sono tra i vasi sanguigni più grandi del nostro organismo. Soprattutto dopo i 65 anni, è frequente che si verifichi la […]

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MILANO (ITALPRESS) – La carotide è l’arteria che porta il sangue dal cuore al collo e alla testa. Ne abbiamo due, una a destra e una a sinistra, che scorrono longitudinalmente nel collo, e sono tra i vasi sanguigni più grandi del nostro organismo. Soprattutto dopo i 65 anni, è frequente che si verifichi la cosiddetta stenosi carotidea, un restringimento che riduce il calibro del vaso e l’apporto di sangue al cervello. La stenosi della carotide è nel 20% dei casi alla base dell’ictus, la prima causa di disabilità in Italia e la terza causa di morte in occidente. Sono questi i temi trattati da Piero Montorsi, direttore del dipartimento di cardiologia interventistica del centro cardiologico Monzino di Milano, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress: “Come sempre, quando si parla di arteria malata che si restringe, i pazienti possono essere sintomatici o non sentire nulla. Se il paziente ha sintomi, ha avuto qualcosa di transitorio che riflette un’ischemia cerebrale, come un occhio che pian piano diventa cieco, e questo è un segnale che dà allarme, oppure la mano che non si muove, o si parla male, o non si riesce a farlo, il tutto nel giro di 15-30 minuti, sono questi gli avvisi”, ha esordito il professore.
“Se è successo questo e la diagnosi è veloce, bisogna correre ai ripari e capire come è nato il problema. La cosa più veloce e frequente è un esame eco-doppler sulla carotide, esame non invasivo a ultrasuoni – ha aggiunto – Si vede se c’è un restringimento a livello della biforcazione della carotide, quando restringe e soprattutto di che composizione è fatta. Se è una marmellata è più a rischio di far scappare qualche pezzettino. Poi si può aggiungere la risonanza magnetica della carotide per avere un’analisi più approfondita”.
Per quanto riguarda la terapia, di nuova generazione e dagli stessi risultati dell’intervento chirurgico è l’angioplastica carotidea con stent, operazione non invasiva: “La terapia medica va sempre fatta per tutte le malattie delle arterie inclusa la carotide, se questo non è sufficiente e sappiamo che non lo è, le scelte sono o l’operazione chirurgica oppure l’angioplastica carotidea, con allargamento delle arterie. Ci sono delle linee guida, dipende dal centro a cui ci si rivolge, se c’è l’expertise, se i medici sono bravi, e poi dipende anche dalla preferenza del paziente, sapendo che i risultati sono equamente buoni e che può decidere di fare un’operazione non invasiva”, ha spiegato Montorsi.
“Un accesso per l’angioplastica può essere dal polso destro, si mette una protezione che sembra un ombrellino, poi c’è lo stent che viene passato e gonfiato col palloncino. Il paziente fa solamente un’anestesia locale sul polso da cui entriamo, deve essere vispo e capace di rispondere – evidenzia -. I più coraggiosi ci chiedono se possono anche dare un’occhiata sullo schermo a cosa succede”. E sui rischi di questo tipo di intervento: “I rischi sono più alti sul paziente sintomatico. Per fare una buona pratica di procedura si dice che i sintomatici devono avere meno del 6% di rischio di morte o ictus e gli asintomatici meno del 3%, ma ormai noi giriamo sull’1% di rischio di avere un evento maggiore durante la procedura, che è inferiore a quello che il paziente corre se non facesse niente e si tenesse la sua stenosi”. “I fattori di rischio sono sempre gli stessi: il controllo attento di questi è importante. Una buona parte di chi ha la patologia è asintomatica – ha concluso – Il paziente deve farsi vedere ed è giusto faccia degli esami presso lo specialista, così si riesce molto spesso a scoprire il problema”.

– foto Italpress –
(ITALPRESS).

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