Sulla schiena, di lato o a faccia in giù? Il modo in cui dormiamo può innescare o proteggere il nostro cervello da malattie come la SLA

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La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), nota anche come malattia di Lou Gehrig, è la forma più comune di malattia dei motoneuroni. Le persone con SLA perdono progressivamente la capacità di avviare e controllare i movimenti muscolari, inclusa la capacità di parlare, deglutire e respirare.

Non esiste una cura, ma recentemente i ricercatori hanno studiato e identificato un nuovo obiettivo nella lotta contro questa malattia: il sistema di smaltimento dei rifiuti del cervello.

Secondo la ricerca, le malattie neurodegenerative, tra cui il morbo di Parkinson, l’Alzheimer e la sclerosi multipla, condividono molte somiglianze, anche se i loro sintomi clinici e la progressione possono sembrare molto diversi. L’incidenza di queste aumenta con l’età, e provocano una graduale perdita di tessuto cerebrale.

E’ stato dimostrato che all’interno dei nostri corpi, lunghe catene proteiche si piegano per formare forme funzionali che consentono loro di svolgere compiti specifici, come la creazione di anticorpi per combattere le infezioni, il supporto delle cellule o il trasporto di molecole.

A volte questo processo va storto, e il risultato sono in proteine ​ che si aggregano per formare degli scarti.

L’accumulo di proteine ​​di scarto inizia all’inizio del processo della malattia neurodegenerativa, ben prima dell’insorgenza dei sintomi e della perdita di capacità cerebrali.

I ricercatori volevano vedere se l’eliminazione o il rallentamento della diffusione di queste proteine ​​di scarto, potesse arrestare o rallentare la progressione della malattia.

Cosa dice la ricerca

Secondo la ricerca il sistema glinfatico rimuove i rifiuti, comprese le proteine ​​tossiche dal cervello.

Questa rete di spazi pieni di liquidi a livello cerebrale, nota come spazi di Virchow-Robin, è per lo più spenta mentre siamo svegli. Ma si attiva durante il sonno per distribuire i composti essenziali per la funzione cerebrale e per eliminare i rifiuti tossici.

Questo potrebbe spiegare perché tutte le creature, grandi e piccole (anche le mosche), hanno bisogno di dormire per sopravvivere.

Gli studi hanno dimostrato ampiamente che con l’avanzare dell’età, la qualità del sonno diminuisce e aumenta il rischio di malattie neurodegenerative, compresa la SLA.

Anche i disturbi del sonno sono un sintomo comune della SLA, e la ricerca ha dimostrato che una sola notte senza dormire può comportare un aumento dell’accumulo di proteine ​​di scarto tossiche nel cervello. Pertanto, gli scienziati hanno pensato che la funzione glinfatica potesse essere compromessa nella SLA.

(Leggi anche: Alzheimer: studio collega per la prima volta la malattia alla perdita di sonno e al ritmo circadiano)

Come si può migliorare la funzione glinfatica

Non tutto il sonno è uguale. Il sonno include sia il movimento rapido degli occhi (REM) sia il sonno non REM. Quest’ultima fase include il sonno a onde lente, ossia quando il sistema glinfatico è più attivo. Le terapie del sonno che migliorano questa fase possono rivelarsi particolarmente utili per prevenire malattie come la SLA.

Si ritiene che anche la posizione del sonno abbia un’influenza.

La ricerca condotta ha dimostrato che quest’ultima è più efficiente se si dorme nella posizione laterale, rispetto alla posizione supina (sulla schiena) o prona (sdraiata in avanti).

Le ragioni di ciò non sono ancora del tutto comprese, ma probabilmente riguardano gli effetti della gravità, della compressione e dell’allungamento dei tessuti.

Anche le scelte legate allo stile di vita possono essere utili per migliorare la funzione glinfatica; infatti, secondo uno studio gli omega-3 sono considerati benefici per la salute, poiché riducono il rischio di malattie neurodegenerative.

È stato dimostrato che un consumo moderato di alcol migliora lo smaltimento dei rifiuti; anche l’esposizione a breve e a lungo termine a piccole quantità di alcol aumenta la funzione glinfatica, mentre dosi elevate hanno l’effetto opposto.
In ultimo, anche l’esercizio fisico si è dimostrato essere benefico.

Tutti questi studi mostrano come piccoli cambiamenti nello stile di vita possono migliorare l’eliminazione dei rifiuti cerebrali, per ridurre al minimo il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative.

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