VIDEO | Libri. Con trans e sex worker, i femminismi sono a zonzo (e non escludono)
- Annalisa Ramundo
- 04/06/2020
- Donne
- a.ramundo@agenziadire.com
Intervista a Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi, autrici di 'Non voglio scendere!', dal 10 giugno anche in ebook Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print
ROMA – Autodeterminazione, patriarcato, scelta, desiderio, intersezionalità, (auto)erotismo, queer, sciopero globale, movimento, #MeToo. Sono alcune fermate della ‘metropolitana femminista’ da cui Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi non vogliono scendere, convinte che di “femminismi ci sia ancora tanto bisogno” per non fermarsi a “una pari opportunità formale” uomo-donna e non escludere quell’universo di soggettività Lgbtqi che il movimento transfemminista contemporaneo individua come leva di trasformazione. Ed è rivolto a tutte le donne, specie le più giovani, ‘Non voglio scendere! Femminismi a zonzo’, il libro – pubblicato nel 2019 dalle due giornaliste e attiviste femministe per la casa editrice Malatempora e disponibile dal 10 giugno in formato ebook – che questa particolare metropolitana, a forma di apparato riproduttivo femminile, ce l’ha disegnata sulla copertina. “I femminismi sono ancora necessari, sono tanti e diversi, alcuni ci piacciono di più, altri ogni tanto li vorremmo evitare”, spiega in un’intervista Skype all’agenzia di stampa Dire Bonomi Romagnoli. “’Non voglio scendere’ ingloba l’idea del movimento- precisa Turi- perché il femminismo sta sempre in movimento. Non esiste un femminismo con il pedigree a cui tutti quanti si devono attenere”.
FEMMINISMI A CONFRONTO SU SEX WORK…
Senza giri di parole, le giornaliste entrano nel dibattito tra femminismi che nelle ultime settimane è corso sul web a partire dall’articolo di Shendi Veli pubblicato sul Manifesto del 12 maggio ‘L’emergenza umanitaria del lavoro sessuale‘. Contrapposte in un botta e risposta sex worker, da un lato, e realtà che non riconoscono quello sessuale come lavoro, dall’altro. Proprio al collettivo di lavoratrici del sesso Ombre Rosse le due giornaliste hanno affidato la prefazione di ‘Non voglio scendere!’, per una questione di “riconoscimento politico- chiarisce Turi- Sono persone che hanno fatto la loro scelta autodeterminata e che la rivendicano dal punto di vista politico, sono parte della nostra battaglia femminista”. La pandemia ha svelato l’invisibilità delle sex worker in Italia, rimaste “senza lavoro e senza sostegno economico” perché escluse dalle misure del Governo, motivo per cui durante il lockdown è stata lanciata la campagna di solidarietà ‘Nessuna da sola‘. “C’è un pezzo di femminismo che ritiene che non ci sia possibilità di scelta autodeterminata nella sessualità” e “dà per scontato che tutte le donne che lavorano con il sesso siano sotto ricatto del maschio, del patriarca, della sessualità maschile- sottolinea Bonomi Romagnoli- Anche noi combattiamo la tratta e lo sfruttamento, però pensiamo che se pure ci fosse una sola donna che decide di fare quel mestiere per sua libera scelta, quella donna va ascoltata, le va data totale possibilità di presa di parola e voce. Invece, ci sono femministe un po’ ferme agli anni Settanta” che non la pensano così e “non è un caso che siano le stesse che combattono la gestazione per altri”.
…E CORPI TRANS
Presupposto da cui partono le autrici del volumetto di 86 pagine è che i “femminismi sono tanti” e che “tanti è bello”. Il loro orizzonte politico, però, combacia con quello del femminismo intersezionale proposto dal movimento internazionale Non Una Di Meno, “che tiene conto di una serie di variabili e fattori che costruiscono le identità e gli orientamenti- aggiunge Bonomi Romagnoli- Le persone- sottolinea- non sono delle caselle rigide, sono molti gli aspetti che vanno a creare chi abbiamo davanti: il sesso, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità, l’etnia di origine, lo status sociale, la professione e il lavoro”. Elementi che non devono creare una “gerarchia dell’oppressione”, ma di cui occorre tener conto, specie quando si parla di “corpi in transizione”, a cui spesso viene negato il diritto all’esistenza. Ha suscitato un vespaio di polemiche e dure prese di posizione il post pubblicato lo scorso 24 maggio su Fb da ArciLesbica nazionale per pubblicizzare il webinar svolto il 31 sulla Declaration on Women’s Sex Based Rights e rivendicare la posizione dell’organizzazione contraria alla sostituzione della categoria del ‘sesso’ con quella di ‘identità di genere’. “Adesso c’è questa sigla che le definisce: Terf (Trans-exclusionary radical feminism, ndr)- spiega Bonomi Romagnoli- Sono femministe che si definiscono radicali, ma su questo ‘radicali’ ci dovremmo mettere d’accordo, perché anche noi di Nudm ci definiamo tali. Sono escludenti perché hanno da ridire sui corpi trans e sulle sex worker, e sono ferme a un binarismo maschio-femmina” che per le autrici è riduttivo. “Non sono i miei seni, il mio utero, i miei cromosomi XX a determinare se io sono una donna o no- osserva Turi- Ci sono infinite vie di mezzo, scelte individuali, non definitive. Al giochino ‘tu sei femminista e tu no’ volentieri mi sottraggo, non mi riconosco nel femminismo giudicante”.
I FEMMINISMI TRA BRAND E POP
Invece, per le autrici non è da snobbare l’uso commerciale dei femminismi, finiti in maglie, borse, accessori, e cavalcato da star come Beyonce, Emma Watson o Emma Stone. “Può aiutare ad arrivare a un vastissimo pubblico a cui le nostre piazze ancora non arrivano- osserva Bonomi Romagnoli- Questo non significa automaticamente né che vengano intaccati i rapporti di potere uomo-donna, né che tutte queste operazioni siano davvero interessate a un reale cambiamento”. Ma “le giovanissime quei modelli vedono e, quindi, se c’è una cantante che utilizza la propria arte per far passare certi messaggi io lo prenderei per buono. Il femminismo pop è anche questo”. Prima “questa parola faceva ribrezzo- ricorda Turi- adesso se una cantante mette una maglietta o fa un concerto con la scritta ‘Femminista’ si capisce che posso esserlo anche se metto il tacco 12, la gonna stretta e glitter su tutta la pelle. Questo per me è un successo- dice- perché il tacco 12 lo scelgo io, rientra nel mio consenso, ho la consapevolezza che è quello che fa star bene me”.
LA CHIAVE DI TUTTO: IL CONSENSO
La chiave di tutto, dalla sessualità, al corpo, al porno, sta nel consenso. “Le spagnole hanno ribaltato lo slogan ‘No è No’ in ‘Sì è Sì”- sottolinea Turi- Le donne, vedendo altre che fanno ciò che vogliono, sanno anche loro che potranno farlo. Da questo si sparge la sommossa dei corpi” invocata nel libro, che parte da un loro utilizzo libero e consensuale, alla ricerca della realizzazione dei propri desideri, contro ogni forma di molestia e violenza, ancora troppo spesso oggetto di una “narrazione tossica”. Che per le giornaliste si può invertire solo con un’ampia diffusione del linguaggio sessuato nei media e con la decostruzione degli stereotipi. “Vanno cambiati i modelli- insiste Romagnoli- Se nelle task force continuano a essere chiamati soltanto gli uomini le più giovani cresceranno pensando che quello è il modello di riferimento. E invece no. Dobbiamo chiedere a viva voce che in tutti gli ambiti le donne ci siano e su questo bisogna scendere a compromessi con le istituzioni”, intendendolo come il “’compromiso’ spagnolo, che è ‘partecipazione’ e ha un aspetto Costruttivo”. Entrare nei palazzi della politica “sfondando la Porta”, come è successo con il Congresso mondiale delle famiglie di Verona del marzo 2019, quindi è l’invito di Marina Turi, perché siamo ancora il Paese in cui “il vicepresidente dei senatori di Forza Italia Giuseppe Moles paragona la credibilità della ministra Azzolina, che chiama ministro, alla verginità. Se fosse stato un uomo non si sarebbe neanche permesso di pensare una cosa del genere”.
LA RIVOLUZIONE FEMMINISTA
E se il lockdown ha svelato le storture di un sistema ancora iniquo nei confronti delle donne, la pandemia può diventare allo stesso tempo l’opportunità per scardinarlo per le femministe del 2020. Oggi, infatti, “si può mettere in discussione il sistema sociale scelto perché è crollato, perché ha generato questa pandemia che stiamo vivendo tutti quanti, chi meglio e chi peggio. La rivoluzione o si fa adesso o non si fa. E la rivoluzione se si fa deve essere femminista”, chiosa Turi. “Lo sciopero globale dobbiamo continuare a farlo, ma anche rilanciarlo- conclude Bonomi Romagnoli- E se non sarà possibile farlo in presenza, perché non abbiamo la più pallida idea di cosa succederà nei prossimi mesi, nulla vieta alle hackers femministe di fare qualche scherzetto…”.
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